Dalla Georgia alla Finlandia: quali sono le altre nazioni a rischio dopo l’invasione russa in Ucraina

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“Gli obiettivi di Putin non si fermano a Kiev” ha detto il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, alludendo a possibili future azioni militari della Russia. Quali altri nazioni sono a rischio, dopo l’invasione dell’Ucraina? Ecco una mappa ragionata dei potenziali bersagli del Cremlino.

Nei suoi ventun anni al potere, Putin ha invaso soltanto l’Ucraina?

No. Per cominciare, ha invaso una regione autonoma all’interno della Russia, la Cecenia, con una guerra brutale che ha raso al suolo la capitale Grozny e insediato al potere un suo fedelissimo dopo anni di sanguinoso conflitto. Una sorta di prova generale per quello che sarebbe venuto dopo in Georgia.

La Georgia faceva parte dell’Urss?

Sì. Situata nel Caucaso, confinante con la Russia, l’Armenia, l’Azerbaigian e il mar Nero, questo paese di 4 milioni di abitanti è diventato indipendente nel 1991, al crollo dell’Urss, come le altre quattrodici repubbliche sovietiche. Ha avuto un lungo periodo di instabilità, a cui ha cercato di mettere fine l’ex-ministro degli Esteri sovietico Eduard Shevardnadze, uno dei più stretti collaboratori di Mikhail Gorbaciov negli anni della perestrojka in Urss, che era di origine georgiana ed è stato presidente della Georgia dal 1995 al 2003. Ma la sua crisi peggiore è venuta nel 2008 con la guerra contro la Russia.

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Perché è scoppiata la guerra?

Perché il nuovo leader georgiano Mikheil Sakhashvili ha intrapeso un corso sempre più filo-occidentale in modo analogo a quanto è avvenuto ora in Ucraina, prospettando una futura adesione della Georgia all’Unione Europea e alla Nato. A quel punto Putin ha deciso di intervenire.

Come?

Due regioni della Georgia, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, abitate prevalentemente da russi, avevano già proclamato l’autonomia nel ’91 provocando una guerra con il governo centrale di Tbilisi, la capitale georgiana. Nel 2008 con una serie di provocazioni, pretesti e “false flag operations”, la Russia è intervenuta più direttamente nei due conflitti, ha riconosciuto le due regioni come repubbliche indipendenti e ha invaso con le sue truppe una vasta area della Georgia. Un cessate il fuoco ha portato successivamente al ritiro delle forze russe, ma Ossezia del Sud e Abkhazia sono da allora de facto sotto il controllo di Mosca. Una vicenda molto simile a quanto accaduto nel 2014 nelle regioni russofone di Donetsk e di Longask in Ucraina.

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E adesso la Georgia rischia di fare la fine dell’Ucraina?

Non ci sarà necessariamente bisogno di un’invasione russa: l’attacco all’Ucraina è un monito sufficiente. Oltretutto la Georgia è molto più piccola dell’Ucraina e ha un decimo della sua popolazione, per cui un’invasione russa potrebbe conquistare rapidamente la capitale, anche se le alte montagne del Caucaso sarebbero probabilmente più difficili da conquistare del tutto. Resta il fatto che l’attuale governo georgiano, teoricamente ancora intenzionato a candidarsi all’ingresso perlomeno nella Ue, sarà frenato dall’esempio di quanto sta accendo a Kiev.

Come reagì l’Occidente all’invasione russa della Georgia?

Con fievoli proteste. Ci fu addirittura un rapporto della Ue che stabilì di non essere in grado di accertare come fosse scoppiata la guerra. Mediato dalla Francia dell’allora presidente Sarkozy, il cessate il fuoco di fatto riconobbe i diritti di Mosca sulle due repubbliche separatiste di Ossezia del Sud e Abkhazia. Con il senno di poi si può dire che la guerra russo-georgiana del 2008 ha fornito a Putin il banco di prova per l’annessione della Crimea e il sostegno al separatismo di Donetsk e Lugansk nel 2014 in Ucraina.

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La Moldavia è in una situazione analoga?

Sì. La più piccola delle quindici ex-repubbliche sovietiche, con 3 milioni e mezzo di abitanti, ha perso già dal ’91 la sua regione più orientale che si è autoproclamata repubblica indipendente di Transnistria (espressione che significa “oltre il fiume Dnestr), con una popolazione di mezzo milioni di persone di etnia e lingua russa. Il conflitto sporadico con la Moldavia, la cui popolazione è in maggioranza di lingua ed etnia romena, ha ora lasciato il posto a uno stato di fatto, con la Transnistria che è uno stato non riconosciuto dall’Onu e che dal 2014 ha chiesto di entrare a fare parte della Russia. Come Ucraina e Georgia, ogni aspirazione della Moldavia a più stretti rapporti con l’Occidente rischia in prospettiva un riaccendersi della guerra e un’invasione delle forze di Mosca.

Delle quindici repubbliche dell’Urss, tre erano slave: Russia, Ucraina e Bielorussia. Quest’ultima non corre il pericolo di essere a sua volta invasa dalla Russia?

No, perché nella sostanza è già accaduto. Per restare al potere dopo le elezioni truffa del 2020, il leader bielorusso Aleksandr Lukashenko, al potere a Minsk dal 1994, ha richiesto l’aiuto di Putin, che ha fornito sostegno politico e truppe, contribuendo a sedare la rivolta popolare. Da allora Lukashenko è sempre più legato alla Russia, che invaso l’Ucraina anche dalla Bielorussia nei giorni scorsi. Il governo di Minsk ha quindi reso noto che le forze russe resteranno stazionate in Bielorussia permanentemente. La Francia ha segnalato la possibilità che la Russia installi in Bielorussia armi nucleari. In futuro Putin potrebbe cercare di rimpiazzare Lukashenko, con il quale in passato non ha sempre avuto buoni rapporti, con un leader più fedele al Cremlino. A Mosca si è parlato spesso dell’ipotesi di annettere la Bielorussia o almeno di unirla alla Russia attraverso una confederazione. Di fatto, se l’invasione dell’Ucraina sarà completata, le tre ex-repubbliche slave dell’Urss, cioè Russia, Ucraina e Bielorussia, si sono già riunificate.

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Ma la Russia è recentemente intervenuta anche in Kazakistan?

Sì. Tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2022, forze russe sono entrate in Kazakistan su richiesta del governo kazako per reprimere le vaste proteste popolari contro il locale regime autocratico. Tra epurazioni e controllo di infrastrutture strategiche, la Russia ha riportato l’ordine. Ricco di petrolio e con una ampia minoranza della popolazione di lingua russa, il Kazakistan è ora sempre di più nell’orbita del Cremlino.

E le altre ex-repubbliche dell’Asia Centrale sovietica?

Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Tagikistan sono governate, come il Kazakistan, da regimi autocratici che hanno impedito lo sviluppo di libertà democratiche dopo la fine dell’Urss: in pratica i clan che le guidavano in era comunista hanno mantenuto il potere anche in seguito. Anche in questa vasta regione, stretta tra la Russia, la Cina e l’Afghanistan, l’esempio dell’intervento russo in Kazakistan e in Ucraina sarà un monito a mantenere buoni rapporti con Mosca.

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Su quali altre repubbliche ex-sovietiche può spingersi l’influenza della Russia?

Su due altri paesi del Caucaso, l’Armenia e l’Azerbajgian. Il conflitto tra questi due popoli dura dai tempi dell’Urss, a causa del contenzioso sulla regione del Nagorno-Karabakh, situata in Azerbaigian ma abitata in prevalenza da armeni. L’ultima scintilla di questa guerra che va avanti a intermittenza da un quarto di secolo risale al 2020 e si è conclusa con una tregua mediata da Mosca. Nella disputa, la Russia appoggia l’Armenia e la Turchia appoggia l’Azerbajgian. La dipendenza dell’Armenia da Mosca è sempre più forte.

Ma non appartenevano all’Urss anche i tre paesi del Baltico?

Sì, anche Lituania, Lettonia ed Estonia hanno fatto parte dell’Unione Sovietica, ma soltanto dal 1945 al 1991. Occupati durante la Seconda guerra mondiale prima dai nazisti, poi dall’Armata Rossa sovietica, questi tre piccoli paesi persero la loro indipendenza dopo il conflitto e la riacquisirono soltanto nel 1991 con il crollo dell’Urss, dopo rivolte sanguinose nell’ultimo anno di esistenza dell’Urss represse con la forza da Mosca. La differenza rispetto al resto dell’Urss è duplice. Primo, i tre paesi del Baltico non hanno fatto parte dell’Urss dalla rivoluzione bolscevica del 1917 ma soltanto dal 1945 in poi. Secondo, dopo il crollo dell’Urss, nel 2004 hanno aderito all’Unione Europea e alla Nato.

L’ingresso nell’Alleanza Atlantica dà loro maggiore protezione da una possibile invasione russa, perché ogni attacco contro un paese della Nato è un attacco contro tutta la Nato. Ma lituani, lettoni ed estoni non sono affatto tranquilli. Tutte e tre hanno una minoranza russa che in passato si è sentita discriminata e che potrebbe chiedere l’intervento di Mosca in sua difesa, esattamente come è accaduto in Crimea e nel Donbass (la regione di Donetsk e Lugansk) in Ucraina. Per questo la Nato ha inviato in questi giorni truppe nel Baltico, rafforzandone le difese, per ora a scopo di deterrente nei confronti della Russia. È chiaro che, a differenza dell’Ucraina, un attacco russo nel Baltico creerebbe le premesse per un conflitto diretto tra la Nato e Mosca, con il rischio dell’uso di armi non solo convenzionali.

Ma in questi giorni la Nato non ha inviato forze anche in Polonia e Romania?

Sì. Sebbene la Russia non avanzi rivendicazioni nei confronti dei due paesi che facevano parte della sfera di influenza sovietica prima del crollo del muro di Berlino e della fine del comunismo in Europa orientale, entrambe confinano con l’ex-Urss e c’è il timore che la guerra in Ucraina travalichi in qualche modo le loro frontiere. Per questo la Nato ha inviato soldati e aerei nella regione, sempre a scopo di deterrente.

Chi altro rischia le zampate dell’orso russo?

Finlandia e Svezia. I due paesi scandinavi appartengono all’Unione Europea, ma non alla Nato. Alla luce dell’invasione russa in Ucraina, in entrambi si levano voci per chiedere di aderire all’Alleanza Atlantica. In questi giorni il premier svedese e quello finlandese hanno partecipato a un summit della Nato per discutere il da farsi davanti all’attacco russo in Ucraina. Immediata è giunta la reazione del ministero degli Esteri russo: “Se Finlandia e Svezia si candidassero a entrare nella Nato, ci sarebbe una risposta da parte nostra”.

Un portavoce ha sottolineato che, come membri dell’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea), i governi di Helsinki e Stoccolma non devono fare nulla che “comprometta la sicurezza di un altro membro dell’Ocse”, di cui è membro pure la Russia. Naturalmente è discutibile se l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato metterebbe in pericolo la Russia o proteggerebbe i due paesi scandinavi da future interferenze di Mosca. Il Segretario Generale della Nato Stoltenberg ha ribadito questa settimana che l’Alleanza Atlantica “non chiuderà le porte” a paesi democratici europei che desiderano aderirvi.

E quindi cosa possiamo concludere?

Che Putin sta ricostituendo legami tra almeno una decina delle ex-quindici repubbliche sovietiche e aspira a ristabilire un’influenza negli equilibri dell’Europa. A Kiev dunque non si combatte soltanto per l’Ucraina: dall’esito del conflitto dipende la sicurezza di tutto il continente.

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