MILANO – Era andata malissimo quasi 15 anni fa all’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che con la Robin Tax sognava di stangare i petrolieri colpevoli di arricchirsi sulle spalle degli italiani grazie al caro greggio. È andata male negli ultimi due anni anche alla sua versione più sofisticata, la tassa sugli extra profitti delle compagnie energetiche messa a punto dal governo Draghi per colpire le aziende che macinavano utili record grazie ai rialzi record del prezzo del gas. Viste le premesse, il nuovo prelievo del governo destinato questa volta alle banche rischia, come i precedenti, di mancare il bersaglio.
Il muro della Consulta contro la Robin Tax
Il governo quantomeno ha imparato dagli errori del passato. Sull’imposta dell’era berlusconiana si era abbattuta nientemeno, e ben sette anni dopo, la scure della Corte Costituzionale, dichiarando il prelievo illegittimo perché in sostanza andava a colpire l’intero reddito prodotto e non i profitti extra. Inoltre il tributo, nato in una situazione contingente di rialzo dei prezzi, era divenuto strutturale, perdendo quindi qualsiasi parvenza di natura straordinaria. Risultato: bocciatura con buco, per fortuna solo futuro, nei conti pubblici. Soldi previsti che il governo ha dovuto trovare altrove.
Gli spiccioli della tassa sugli extra profitti
Sette anni dopo il pronunciamento della Consulta l’esecutivo Draghi ha lanciato la misura destinata alle aziende produttrici e venditrici di energia elettrica e gas. Colpita questa volta la quota di profitti extra realizzati grazie ai prezzi record di gas e petrolio. Qui il meccanismo iniziale era più complesso perché il prelievo – inizialmente del 10% e poi cresciuto al 25% – era calcolato sul saldo delle liquidazioni Iva delle operazioni di acquisto e di vendita di energia sul mercato. Da quest’anno invece si applica come “contributo di solidarietà” temporaneo del 50% sul reddito Ires che eccede per almeno il 10% la media dei redditi complessivi conseguiti nel periodo 2018-2021.
Un cambio in corsa determinato dal tentativo di schivare nuove bocciature della Consulta e soprattutto per compensare il flop di gettito nel primo anno dell’entrata in vigore. Un bottino molto magro certificato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in audizione. Su circa 10 miliardi di fondi attesi ne sono entrati nelle casse pubbliche poco meno di 2,8 miliardi.
Il flop della tassa sugli extraprofitti: incassato solo poco più di un quarto del gettito atteso
Perché si rischia un nuovo flop
La nuova misura annunciata ieri parte con il vantaggio degli errori del passato. Lo schema somiglia all’ultima versione delle tassa sugli extra profitti delle società energetiche ma il prelievo non riguarderà l’utile complessivo, ma una delle voci che lo compongono, quella dei ricavi per margine di interesse. Un meccanismo che potrebbe spingere gli istituti a modulare i propri bilanci proprio per schivare o ridurre il prelievo sulla voce oggetto dell’imposta per quanto riguarda l’esercizio in corso, che costituisce uno dei riferimenti possibili per il calcolo del tributo. Tutto al netto di possibili ricorsi dei soggetti direttamente interessati. Qui non è di aiuto il precedente spagnolo, visto che una misura analoga varata lo scorsa estate dal governo ha incontrato prima la prevedibile opposizione delle banche, poi anche quella – meno scontata – della Banca Centrale Europa.
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