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Delitto Isabella Noventa, l’Agenzia delle Entrate chiede le tasse alla famiglia perché il corpo non è stato trovato

Padova – Vittima di un omicidio premeditato per la legge, contribuente ancora in vita per l’Agenzia delle Entrate. Fino a prova contraria, s’intende. E tra le prove contrarie non sono evidentemente incluse le tre sentenze per omicidio che raccontano il delitto di Isabella Noventa, l’impiegata di 55 anni uccisa nel 2016 dall’ex fidanzato con la complicità della sorella e dell’amante. “Dolore che si aggiunge ad altro dolore”, commenta il fratello, Paolo Noventa, che si trova al centro di questo corto circuito burocratico nato dal fatto che il corpo di Isabella non fu mai trovato. Nelle carte dell’inchiesta, come ricostruisce il Mattino di Padova, si parla di “corpo soppresso”, un tecnicismo giuridico per indicare che è stato nascosto o disperso chissà dove. Per l’Agenzia delle Entrate, però, finché non ci sarà una “dichiarazione di morte presunta”, è come se Isabella fosse ancora viva. Questo blocca tutto l’iter della successione ereditaria.

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La notte dell’omicidio

Era la notte tra il 15 e il 16 gennaio 2016, quando fu consumato il feroce omicidio di Isabella Noventa. La cinquantacinquenne impiegata era stata in pizzeria con il fidanzato Freddy Sorgato, come tentativo di ricomporre una storia che lei voleva chiudere. Dopo quella notte sparì nel nulla e per un mese familiari e addirittura lui, l’ormai ex fidanzato, rinnovavano in tv appelli a Chi l’ha visto nella speranza di ritrovarla. Fu la Squadra mobile di Padova a scoprire le malefatte del terzetto diabolico composto da Freddy Sorgato, dalla sorella Debora Sorgato e dall’ex amante di lui Manuela Cacco. Gli investigatori hanno ricostruito quell’ultima notte, con la trappola tesa alla cinquantacinquenne e la successiva soppressione del cadavere. Isabella è stata uccisa da Freddy e Debora Sorgato con la complicità dell’amica veneziana di lui: lo hanno ribadito tre sentenze, l’ultima quella della Cassazione che, il 18 novembre 2020, ha confermato le condanne a 30 anni per i fratelli e a 16 anni e 10 mesi per la coimputata. Ma, nonostante un’indagine capace di ricostruire con meticolosità ogni momento e ogni dinamica mentale del trio, non furono mai trovati i tre elementi chiave di ogni omicidio: il cadavere, il movente, l’arma del delitto.

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La carta mancante

Insomma, la verità del Fisco è un’altra. E Isabella non può essere considerata morta finché non sarà messa a disposizione dell’Agenzia delle Entrate una dichiarazione di “morte presunta”. La famiglia dovrà far pubblicare, a proprie spese, un estratto della domanda di morte presunta per due volte consecutive su altrettanti quotidiani – uno regionale e un altro nazionale – dando il termine di sei mesi a quanti potranno fornire notizie (fondate) su Isabella. Trascorsa quella finestra temporale senza aver avuto alcuna informazione certa, potrà essere dichiarata dal tribunale la morte presunta. “Dovrò spendere almeno 5 mila euro per le pubblicazioni”, rivela il fratello. “Mi auguro sia l’ultimo imprevisto. Di sicuro nessuno mi restituirà più mia sorella”.



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