Delitto Lidia Macchi, la Cassazione conferma l’assoluzione di Binda

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Confermata dalla Cassazione l’assoluzione di Stefano Binda, imputato nel processo sull’omicidio di Lidia Macchi, la ventenne uccisa a Cittiglio, in provincia di Varese.

Sono passati poco più di 34 anni da quando venne accoltellata 29 volte nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1987. Con la decisione della Suprema corte il delitto della studentessa varesina di Casbeno, resta un cold case senza un responsabile accertato. La Cassazione ha confermato l’assoluzione del suo ex compagno di scuola, Binda, 53 anni. Il sostituto Procuratore generale della Cassazione, Marco Dall’Olio, nella sua requisitoria davanti alla prima sezione penale aveva chiesto di confermarla e di respingere il ricorso del Pg di Milano e delle parti civili contro il proscioglimento di Binda emesso il 24 luglio 2019 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. In primo grado l’imputato nel 2018 era stato condannato all’ergastolo. Ricorso che oggi è stato dichiarato inammissibile.

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La sera del 5 gennaio 1987 Lidia Macchi va a fare visita a un’amica che era ricoverata in ospedale a Cittiglio. Prima di fare ritorno a casa incontra il suo assassino nel parcheggio e lo fa salire in macchina. Ma su ciò che accade nel frattempo non si hanno certezze. La sua auto verrà ritrovata al Sass Pinin, una collina poco distante. “Sappiamo solo che in arco temporale successivo alla congiunzione sessuale (..) – scrivono i giudici – la furia dell’uomo ch’era con lei si è scatenata sino ad ucciderla”. In primo grado a Varese, nella città in cui Lidia e Stefano Binda, entrambi ciellini, frequentavano il liceo classico Cairoli, l’uomo venne condannato all’ergastolo. Era il 24 aprile 2018. Quindici mesi dopo la corte d’Assise d’appello di Milano ribaltò la sentenza e lo assolse. Smontando la ricostruzione dell’accusa, frutto di una faticosa indagine della procura generale di Milano. A partire dal componimento poetico “In morte di un’amica”, spedito il giorno del funerale ai genitori della ragazza e considerato una sorta di confessione del killer: la scienza avrebbe provato che non è Binda “ad avere lasciato tracce biologiche sulla busta spedita a casa Macchi”.

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L’udienza davanti alla corte di Cassazione è nata da un ricorso contro l’assoluzione di Binda del sostituto procuratore generale di Milano Gemma Gualdi, a cui se n’è aggiunto un altro della famiglia Macchi. Due erano gli scenari possibili: un rigetto del ricorso, come richiesto dai difensori dell’imputato, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, e quindi la conferma definitiva dell’assoluzione di Binda (come è stato), o il suo accoglimento, e dunque un nuovo processo per l’uomo – libero dal 24 luglio 2019, che da allora conduce una vita appartata assieme alla madre nella casa di Brebbia – davanti a una diversa sezione della corte d’Appello di Milano. Con la decisione di oggi l’omicidio di Lidia Macchi è destinato a restare un cold case.

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