Dieci mosse per difendersi dal telemarketing selvaggio

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Dieci mosse per difendersi dal telemarketing selvaggio. Dieci misure da adottare per opporre resistenza a quella marea montante di telefonate promozionali che arrivano ad ogni ora e in ogni giorno della settimana millantando e promettendo. Un argine di sicurezza, minima, ad una situazione che in Italia è ormai fuori controllo. E che non accenna a migliorare, nonostante multe complessive per 67 milioni di euro spedite dal Garante per la protezione dei dati personali fra il 2019 e il 2010 e recapitate ai maggiori operatori telefonici e a diversi gradi nomi fra i fornitori di energia elettrica e gas.

In un mese 155 telefonate. Come difendersi dal telemarketing selvaggio

E’ un mondo dove carnefici e vittime spesso si scambiano di posto, con l’unica eccezione dei cittadini che lo subiscono. “Difficile capire dove inizia il dolo e dove finisce il danno”, conferma Agostino Ghiglia, componente del Garante per la protezione dei dati personali o, come viene più spesso definito, della Privacy.

Le dieci mosse sono state redatte partendo da quelle proposte da Oic e Assocontact che con i suoi 60 associati è una delle principali associazioni di categoria assieme ad Asstel e Assocall. Rappresentano quei 120mila professionisti nel settore dei call center ufficiali che operano per conto terzi, compresa l’assistenza ai clienti. “L’anello di congiunzione fra pubblica amministrazione e cittadini e fra aziende e consumatori”, come li definisce il presidente di Assocontact Lelio Borgherese. Che ci tiene ad iscrivere l’intera categoria nella lista delle vittime, “perché alla fine quando chiama uno dei 200 call center autorizzati, ottiene poco o nulla visto che l’utente in questione è stato tartassato di telefonate al limite della truffa”.

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Ecco quindi a cosa stare attenti, quando si viene contattati da un call center, per capire se rispetta le regole.

1) Se il numero dal quale chiama appare come anonimo.

2) Se l’operatore si qualifica come dipendente dell’Ufficio per la tutela del consumatore, Autorità di vigilanza, di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) o di altro genere, millantando di voler dare una mano perché staremmo pagando troppo rispetto ad una fantomatica tariffa base.

3) Se l’operatore si rifiuta di inviare via mail il contratto che sta proponendo prima che venga firmato, perché in realtà lo può fare tranquillamente solo che richiede più tempo.

4) Se l’operatore non chiarisce subito, dopo essersi presentato, da dove chiama (Italia, Europa o Paese extra europeo) per quale call center lavora e quale compagnia ha ingaggiato il call center.

5) Se l’operatore non informa di quali siano i diritti in materia di privacy, iniziando dalla possibilità di richiedere la cancellazione dei propri dati dall’elenco dei loro contatti.

6) Se, quando si chiede di cancellare il proprio contatto, l’operatore risponde di non poterlo fare né sa da dove è stato preso il vostro numero di telefono o ancora che sostiene che è stato selezionato dal “sistema” in automatico.

7) Se il numero che vi ha contattato non è richiamabile o non si riesce a capire quale call center sia.

8) Se il numero che via ha chiamato o il nome del call center non è iscritto nel Registro Operatori Comunicazione (Roc).

9) Se la voce dell’operatore è registrata.

10) Se dopo aver risposto alla telefonata trascorrono alcuni secondi in silenzio e l’operatore non risponde e attacca il telefono.

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Mettetevi però l’anima in pace, queste dieci regole vi aiuteranno a distinguere chi lavora secondo le regole da chi invece non vuole o non può tenerle in considerazione, ma non eviteranno che veniate chiamati sul numero fisso o su quello mobile. Nel nostro Paese le linee in totale sono circa 100 milioni e quelle fisse in teoria si possono proteggere iscrivendosi al Registro pubblico delle opposizioni (Rpo). Ironia della sorte bisogna avere la propria utenza fra quelle che compaiono negli elenchi telefonici pubblici, chi ha scelto una maggiore privacy è quindi il più esposto. E in ogni caso non vale per i numeri mobili. 

“Sebbene la Legge n. 5/2018 abbia esteso l’ambito di applicazione del Rpo a tutti i numeri riservati, inclusi i cellulari, il nuovo servizio sarà operativo esclusivamente dopo l’emanazione del Regolamento attuativo”, si legge sul sito del garante della Privacy. “Pertanto, al momento, il diritto di opposizione è riservato agli utenti intestatari di un numero di telefono presente negli elenchi telefonici pubblici”. Il decreto attuativo, passato in commissione il 20 gennaio, deve essere ora firmato dal Governo che al momento ha altro per la testa. Dunque l’unica strada e bloccare i numeri di tutti i call center indesiderati che ci contattato. Tutti gli smartphone offrono questa possibilità.

L’anello debole L’anello debole della filiera del telemarketing selvaggio, come abbiamo già ricostruito, è l’universo dei “sottoscalisti” e dei “cantinari”. Piccole strutture che nascono magari sotto l’insegna di “Centro di formazione”, senza diritti per i dipendenti. Metterle insieme costa poco. Molte stanno nei retrobottega di grandi fornitori di servizi e vivono solamente il tempo di un contratto. Per questo è difficile rintracciarle e sanzionarle.

Gli operatori di queste realtà guadagnano spesso solo quando vendono o portano a casa risultati. E quindi per loro l’unica cosa che conta è far firmare un’utenza o aggiungere dati da un indirizzario che poi verrà venduto a cifre più alte. Anche a costo di tempestare di telefonate un utente o a strappare un contratto in modo ingannevole alle persone più fragili.

Poi ci sono gli agenti, figure che operano per aziende o per conto di call center ufficiali che hanno bisogno di braccia aggiuntive e per averle chiudono un occhio. Stando alle ispezioni ordinate dagli ispettori del Garante della privacy è a loro che viene affidato il lavoro “sporco”. E loro lo fanno sfruttando lo schermo di una lunga catena di appalti e subappalti che allontanano il controllo del committente della campagna.

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In una delle indagini, quella relativa a Wind, i tecnici del Garante hanno trovato una struttura abusiva dove si lavorava su tabulati di dati probabilmente trafugati da Tim. Ed era completamente in nero, operava sotto l’ombrello del centro di formazione. Capita anche che un call center che operi per conto di una certa compagnia poi inizi a lavorare per un’ultra usando le informazioni della prima.

“Noi abbiamo provato a redigere delle regole del gioco anche con le associazioni di categorie. Criteri di trasparenza, correttezza, rispetto del consumatore e tracciabilità. Ma certo, più facile a dirsi che a farsi”, ammette Lelio Borgherese di Assocontact. “Fra i call center ci sono aziende enormi e conosciute e una miriade “sottoscalisti”. Nel mezzo agenzie di medie dimensioni che spesso a loro volta si rivolgono a piccole realtà. Ma sono due mondi separati, per logiche e pratiche, quello ufficiale e quello che opera ai limiti o oltre il consentito. Noi gestiamo per le compagnie che ci ingaggiano la risorsa più preziosa, i clienti. La telefonata molesta, che arriva sempre dalla parte della promozione, danneggia noi per primi”.

Il giro di affari ufficiale del call center che fanno capo ad Assocontact e alle altre associazioni di categoria, è di circa due miliardi di euro l’anno. Più altri due miliardi che presumibilmente vengono dal sommerso. I 67 milioni di euro in multe del Garante sono quindi spiccioli al confronto. “In teoria però l’autorità si potrebbe spingere fino a chiedere il quattro per cento del fatturato globale. Nel caso di Vodafone, multata per 12 milioni di euro, si tratterebbe di 250 milioni”, spiega Agostino Ghiglia. Ma è ovvio che difficilmente arriverà a tanto e nel frattempo il nostro telefono continuerà a squillare.

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