Donne in terapia intensiva: storia della ‘regina dell’Etna’ e di come nasce un Hub per l’uguaglianza di genere

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L’hanno definita la ‘regina dell’Etna’ perché l’anno scorso ha scalato il vulcano in bicicletta percorrendo 190 km con 7000 m di dislivello percorsi in 14 ore. Francesca Rubulotta, direttrice dell’Unità di Terapia intensiva presso la McGill University di Montreal in Canada, ha iniziato alle 3 di mattina e ha ultimato la sua fatica alle 17.23.

In mente un obiettivo ben preciso: raccogliere fondi a supporto della Fondazione ‘I win’, un network internazionale ideato per migliorare le condizioni di accesso e di permanenza delle donne in un settore medico importante: quello della terapia intensiva.

Siciliana doc, ma reclutata a Londra dove ha lavorato per 15 anni all’Imperial College, Francesca Rubulotta sta per trasferirsi a Montreal per diventare professore e capo dipartimento. A Salute.eu racconta il suo sogno di donna delle terapie intensive, gli obiettivi del network ‘I win’ la cui Fondazione viene inaugurata proprio in questi giorni a Catania e poi le prossime sfide che l’aspettano così lontano dalla sua terra.

Il gap di genere

Nel 2019, nei Paesi occidentali, le donne iscritte alla facoltà di medicina e chirurgia erano circa il 70-80% ma solo un 40% alla specializzazione in anestesia. Nei Paesi dove l’anestesia rappresenta una disciplina separata rispetto alla rianimazione, la percentuale delle donne che sceglie di lavorare in terapia intensiva si avvicina al 30% del totale degli iscritti annui. Nel 2017, le donne autrici di articoli scientifici, editrici di riviste scientifiche, dirigenti di aziende farmaceutiche o di biotecnologia, redattrici di linee guida e raccomandazioni nel campo dell’anestesia e della rianimazione erano meno del 10% e ad alcuni congressi internazionali il numero delle relatrici era inferiore al 5%.

Questi numeri sono ancora più bassi tra le donne delle minoranze etniche. “Ciò significa – sottolinea Rubulotta – che le modalità lavorative sono dettate da comitati principalmente costituiti da uomini, a fronte di una cura a letto del malato fornita da medici o infermieri che sono principalmente donne. Non solo: la biotecnologia, disegnata per il 68% da ingegneri uomini, è usata nel 70% da giovani donne infermiere e medici impegnati al letto del malato”.

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Lavoro di squadra al femminile

Proprio partendo da questi dati, nasce l’idea di I Win che sta per International Women in Intensive and Critical Care Network. “I nostri valori – racconta la dottoressa – si basano sui concetti di innovazione, di collaborazione con industrie, start-up di biotecnologia, compagnie di Information Technology che promuovono formazione a livello internazionale e in aree in via di sviluppo. E poi crediamo nella diversità e nell’uguaglianza non solo in ambito lavorativo ma anche nella ricerca”.

Il network crede molto anche nella necessità di supporto reciproco e di lavoro di squadra, cosa non sempre facile per le donne. L’anno scorso si è svolto il primo webinar con il patrocinio della Federazione mondiale di terapia intensiva, la Società australiana, neozelandese, canadese, spagnola e italiana di anestesia e rianimazione.

Dalla cima dell’Etna a quella della medicina

Come nasce l’idea di scalare l’Etna e cosa c’entra con il progetto I Win? “Nel momento stesso in cui mi hanno descritto il percorso da fare per vincere il titolo di Regina dell’Etna ho capito che avrei preso questo titolo”, racconta euforica Rubulotta. “Per me è stato immediato fare l’associazione tra la montagna, la ‘signora Etna’ e il mio progetto. La bellezza e la complessità della signora montagna mi rassomigliava e quasi simboleggiava la donna nel mondo del lavoro. Per questo motivo ho deciso di fare questa scalata per raccogliere fondi per la fondazione I Win”.

Il brevetto da ‘Regina dell’Etna’ richiede un impegno di 12-18 ore e iniziando il percorso di notte si rischia di incontrare branchi di cani randagi o condizioni meteo averse. “Sono rientrata apposta da Londra e mi sono preparata in maniera molto precisa e disciplinata per 10 giorni”, prosegue l’anestesista.

11h e 55′ sui pedali

Rubulotta ha sempre fatto sport anche a livello professionistico: diversi anni in seria A con la pallanuoto e ancora 4 Mondiali vinti con i Master, ma non era mai andata in bici. Suo padre, invece, sì. “Ho iniziato a pedalare ed ho ritrovato la bici di papà, anche lui un rianimatore morto a 49 anni per stress da lavoro. Ho trovato la sua vecchia Colnago che non è riuscito mai ad usare”, racconta.

Così, su due ruote, ha scoperto un nuovo volto della Sicilia. “Rapidamente la bicicletta è diventata una droga. Le endorfine alla fine della pedalata mi rendevano felice e la Sicilia mi sembrava ogni giorno più bella. A settembre miglioravo di giorno in giorno, perciò quando mi hanno parlato dei brevetti del parco dell’Etna ho deciso di partecipare”. La mattina dello scorso 10 ottobre, alle 1:30 di notte Francesca Rubulotta è uscita da casa e alle 3:04 ha iniziato a pedalare. “È stato come un sogno: la luna era ad un passo, le stelle si potevano toccare con una mano, non c’era vento. Poi l’alba sul mare. E poi il sole forte del mattino, i miei amici e i colori della mia terra: una giornata indimenticabile. Insomma, sono qui a Londra e penso di avere vissuto un sogno”, racconta.

L’emergenza Covid a Londra in rianimazione

Un sogno che è diventato incubo nel pieno dell’emergenza Covid a Londra. “Ho provato tante sensazioni diverse: paura, confusione, isolamento, speranza. Ho identificato il primo paziente Covid al Charing Cross Hospital a Londra il 9 marzo 2020. Tutti i familiari erano positivi e due dei miei specializzandi si sono ammalati. I test non erano disponibili e io non sono stata testata pensando di essere malata per settimane ho continuato a lavorare”.

Il lockdown in Inghilterra è stato proclamato il 23 marzo, quindi molto tardi: “La metropolitana era piena di gente senza mascherina e le palestre e i ristoranti aperti”, ricorda il medico che è stata anche la prima candidata a presidente della Società europea di terapia intensiva.

Covid, gli anestesisti raccontano il loro anno in prima linea

La prima a prescrivere cortisone

Nel frattempo, la madre in Italia si è ammalata: “Non potevo tornare ed ho avuto tanta paura, ma ora mamma sta bene”, ci dice felice ma aggiunge: “Ad aprile le mie infermiere piangevano in reparto e tutti avevamo i segni delle mascherine sul viso. Io ero confusa ma dovevo sembrare sicura delle mie scelte. Sono stata la prima ad usare il cortisone su un malato, un giovane tassista che si era ammalato portando degli imprenditori cinesi da Londra a Birmingham. Si è salvato e mesi dopo il cortisone è diventato uno standard di terapia. I colleghi da tutto il mondo mi chiamavano e ci scambiavamo consigli”.

L’inaugurazione di I Win a Catania

Certo, la pandemia Covid-19, così come la Sars ed Ebola hanno fatto conoscere meglio il lavoro degli anestesisti rianimatori che ogni giorno affrontano enormi sacrifici. Ma che impatto ha questa carriera nella vita delle donne medico e delle infermiere che decidono di lavorare in prima linea? Ed eccoci di nuovo al senso del network ideato dalla Rubulotta. La firma dello statuto e la costituzione della Fondazione I Win avviene oggi all’inaugurazione che si svolge a Catania.

L’evento inaugurale il 25-26 giugno si svolge online su www.iwinideal.com e prevede gruppi di studio e tavoli tecnici, composti da piccoli team selezionati, per l’elaborazione di progetti semplici e fattibili. Il comitato scientifico, che raccoglie rappresentanti di oltre 20 Paesi nel mondo, lavorerà su diversi argomenti legati alla leadership delle donne, all’innovazione e alla ricerca. Il documento riassuntivo del Congresso verrà proposto poi a riviste scientifiche per la pubblicazione.

Catania-Londra-Montreal: cosa c’è dietro l’angolo

Dopo quindici anni all’Imperial College di Londra, ora Rubulotta si sposta a Montreal. Un altro talento italiano migrato all’estero però la sede di I win è Catania: le radici non si dimenticano? “Bisogna cambiare per avanzare, ma mai dimenticare le origini e gli ostacoli perché da essi si impara e con essi si cresce. Sono una donna del sud e qui devo creare la fondazione perché da qui bisogna iniziare a parlare di pari opportunità, sia per le donne che per il sud. La Sicilia è anche al centro del Mediterraneo e vicino a tanti paesi in via di sviluppo per i quali eguaglianza e pari opportunità hanno grande importanza”.

Con l’Italia nel cuore

Dopo l’annullamento di otto biglietti aerei, a giugno l’anestesista è venuta da sola in macchina a Catania. Tornerà in Italia prima o poi per lavorare qui? “Magari! Intanto, I Win mi terrà in Italia ogni anno con un evento annuale”, mi dice con un sorriso travolgente questa donna vulcanica che non si è mai sposata ma avrebbe voluto diventare mamma: “Ho cercato sempre disperatamente di avere figli, ma non ci sono riuscita. Molte donne in carriera che ritardano la gravidanza poi non riescono ad avere figli e il mondo dietro la riproduzione artificiale è un business che rappresenta una sofferenza per molte. È un tema di cui parlerò nei congressi futuri”.

Compleanni in famiglia e nuove vette

Intanto, a conclusione del congresso, Rubulotta si prepara a festeggiare il suo compleanno che cade il 30 giugno e poi più in là quello della nonna che compirà 100 anni. “Prima del Covid viaggiavo ogni 15 giorni: ho insegnato in India, Medio Oriente, Africa, ma da quando a causa della pandemia ho dovuto smettere di volare, stare a casa mi sembra una vacanza”, dice. Dopo aver scalato l’Etna ha in mente altre imprese sportive? “Certo, prendere il titolo di Imperatrice dell’Etna che prevede sette salite e oltre 8000 m di dislivello: come superare l’Everest!”, conclude con il suo immancabile sorriso.

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