Duccio Forzano, il regista di Sanremo: “Che paura quella volta che non si alzava il sipario”….

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Duccio Forzano di Festival di Sanremo ne ha fatti sei, da regista. E ha contribuito ai tanti cambiamenti delle edizioni di Fabio Fazio e Claudio Baglioni. Ma è arrivato al Festival con Antonella Clerici: “Si, nel 2010, mi volle lei. Erano quattro anni che facevo la regia di Che tempo che fa con Fazio, quando mi chiamò per la prima volta per fare Tutti pazzi per la tele. Le piacqui e mi chiamò per Sanremo, iniziammo lavorare nei primi di luglio del 2009. Quando me lo chiese mi si fermò il mondo attorno per un attimo, per chi fa il mio mestiere Sanremo è un traguardo. Le dissi ‘Antonella, sei sicura? Non illudermi, so che poi se non succede io non vivo più’. Ma lei voleva davvero lavorare con me e fece di tutto per convincere anche la Rai. Io quel Sanremo non lo feci ‘alla Duccio Forzano’, perché arrivai in una macchina che era già partita, la scenografia era già stata disegnata e molte cose decise. Ma credo di aver fatto il lavoro come andava fatto. L’anno dopo mi riconfermarono con Gianni Morandi”.

E li ebbe modo di lavorare diversamente…

“Seguii tutto il progetto dall’inizio, come faccio sempre. Cerco di dare il massimo anche quando non è agevole, cerco di adattarmi per valorizzare quel che trovo, l’ambiente in cui mi devo muovere. Punto molto sulle luci, sulla grafica, sto tanto sul palco, vivo con la troupe e il cast. Solo così so di poter ottenere i risultati che voglio”.

E’ un lavoro complicato?

“Più che altro sei in una lavatrice che non si ferma. Sei nell’occhio del ciclone per mesi e poi c’è la settimana della messa in onda. Tutti ti chiedono tutto, sei il centro del lavoro, puoi parlare per mesi, scrivere tutto, fare le prove, poi alla fine il vero imbuto è la regia, tutto passa da li, qualunque cosa arrivi, e la devi saper gestire”.

Preferisce avere una situazione determinata al minuto secondo o l’estro del momento e l’improvvisazione?

“Personalmente non mi piace che si lavori al minuto secondo ma nemmeno che si vada alla cieca. Una buona via di mezzo, una scaletta e un copione con punti fissi indispensabili per una diretta del genere, e una dose di improvvisazione che è stimolante per tutti, per chi lavora e per chi lo vede da casa. Il dribbling che non ti aspetti è quello che ti può risolvere una partita”.

Quali sono le cose più complicate che le sono capitate?

“Ce ne sono state due. Anzi nel 2014 con Fazio una dopo l’altra. Non dimenticherò mai il primo minuto in diretta con il grande sipario, che copriva tutto il palcoscenico, che non si alzava. Nonostante tutti tentativi era bloccato e io ero già pronto a mandare gli spot della pubblicità e interrompere la diretta. Invece Fazio riuscì, attraversando le quinte come poteva, a andare davanti al sipario per dire che c’era un problema, e iniziare comunque a introdurre la serata. Passano pochi minuti e si sentono delle urla perché c’erano due operai abbarbicati sulle balaustre che protestavano e minacciavano di lanciarsi di sotto. Fazio non poteva salire da loro, che volevano che lui leggesse una lettera, mentre la sicurezza cercava di intervenire per calmarli”.

Gianni Morandi, conduttore del Festival di Sanremo, con Lucio Dalla. In alto, il Festival di Antonella Clerici: per entrambi la regia era firmata da Duccio Forzano

Due fuori programma in pochi minuti. Un incubo…

“Un inizio devastante. Ma in quei casi non devi perdere la calma, perché sei comunque in diretta e devi raccontare quello che sta accadendo, cercando di essere obbiettivo”.

L’altro imprevisto?

“Un anno prima. Venne Maurizio Crozza ospite e fu contestato in modo molto violento da un paio di persone che non lo facevano andare avanti. Ecco, io in quel racconto quelle due persone non le ho mai inquadrate, per scelta. Era una violenza, Crozza stava lavorando e io non volevo dare neanche un secondo di notorietà a quelle due persone. C’era attenzione ai fatti, facevo grossi totali del teatro, ma non sono ma sceso nel dettaglio su due persone molto livorose, con la bava alla bocca. Li avevo inquadrati ma non li ho mai staccati in diretta, per rispetto delle persone sul palco”.

Il regista di Sanremo deve amare la musica?

“Io amo la musica, cerco di dare ad ogni canzone quello che serve davvero, ascoltandole prima. Ho avuto il privilegio di ascoltare le canzoni due mesi prima, con gli arrangiamenti che cambiano, si aggiustano. Leggo i testi e mi faccio un’idea, cerco di essere attento alle emozioni che la canzone vuole esprimere, mi confronto con il direttore della fotografia, per dare un senso e li dove è possibile anche con la grafica. In alcuni Sanremo che ho fatto la grafica era molto presente, nell’ultimo, nel 2019, invece abbiamo avuto il coraggio, con Baglioni e la Rai di togliere ogni elemento di apparato visivo grafico e lasciare solo un gioco di luci”.

Qual è il segreto per fare bene il festival?

“Sfortunatamente non c’è. Devi metterci passione, adrenalina, stare un passo avanti rispetto a tutto quello che accade. Poi quando finisce torni a casa svuotato e ti passa la paura. E ti torna la voglia di farlo”.

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