È morto Marco Mathieu. La musica, i viaggi, il giornalismo a Repubblica e una risata piena che non sentiremo più

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Sono quattro anni e mezzo che aspettiamo di ascoltare ancora una volta quella sua risata. La grassa, gioiosa, vitale, inconfondibile, piena, pienissima risata di Marco Mathieu. Invece non la sentiremo più. Il miracolo non è accaduto. Marco è morto stamattina al Presidio San Giacomo nella sua Torino. Aveva 57 anni. Lascia i genitori Paola e Bruno, la sorella Patrizia e una marea di amici,  fuori e dentro la redazione di Repubblica, che gli volevano bene.

Dal 13 luglio del 2017, il giorno in cui ha avuto un ictus mentre era in motorino ad Ostia, non aveva mai più ripreso conoscenza. Per tutto questo tempo era rimasto immobile su un letto di ospedale, lui che immobile non era stato mai.

Se fosse qui adesso ci direbbe di tagliare corto con la retorica e andare dritti al punto, “perché la gente vuole sapere qual è la storia vera”. Eccola qui, dunque, la storia vera. Marco Mathieu ha vissuto decine di vite, tutte magnifiche. È stato il bassista dei “Negazione”, hardcore band torinese attiva tra il 1982 e i primi anni Novanta (sei album, più di mille concerti), è stato scrittore, giornalista, viaggiatore, sceneggiatore, documentarista, amante dell’esistenza, entusiasta, buddista, e – ci piace ricordare – arcigno difensore centrale nel calciotto del mercoledì a cui non mancava mai. Ti menava, ma poi ti chiedeva scusa e ti regalava la famosa risata, come facevi ad arrabbiarti.

Un giorno, nei primi anni Novanta, lasciò la chitarra basso e non la riprese più. “Ho imparato a suonarla mettendo i foglietti sulle corde per ricordarmi le note, mica ho studiato musica!”, raccontava divertito a chi gli chiedeva perché. “Quando ho deciso di smettere dopo anni intensissimi, ho smesso senza rimpianti”. Trasferitosi a Milano, ha lavorato a Gq Italia per cui ha fatto l’inviato speciale poi è passato nelle redazioni di D, Diario, Tuttomusica. Nel 2011 è approdato nella redazione romana di Repubblica con la qualifica di vice-caporedattore.

Il suo arrivo in Cronaca Nazionale era avvolto da un’aura di mistero, la metà dei colleghi aveva ascoltato i suoi dischi e nei video di Youtube lo vedeva ancora saltare come un ossesso sul palco martellando le corde del suo basso. Chi è, cosa farà, che idee ha, ci chiedevamo. Mathieu ci ha messo cinque secondi a integrarsi col gruppo. È entrato, si è presentato e ha sorriso. Era fatta.

Negli anni a Repubblica è stato alla Cronaca Nazionale, agli Esteri e allo Sport. Durante un periodo di aspettativa, si è fatto inviare a San Paolo per collaborare con la Folha de S.Paulo, giornale brasiliano. Ne parlava come di un’esperienza formidabile. Trovare il lato bello di ogni cosa e mostrartelo era una delle sue caratteristiche. Cercava la vita ovunque, in un certo senso. I giorni in cui era di cattivo umore si contano sulle dita di una mano.

Alcuni dei suoi viaggi in giro per il mondo sono stati lo spunto per scrivere libri (“A che ora è la fine del mondo?”, “In viaggio con Manu Chao”), altri sono diventati documentari (“Prigionieri”, per RepubblicaTv) o docufilm. Ne ha fatto uno splendido sul calciatore brasiliano Socrates, con la regia di Mimmo Calopresti. Amava il calcio e amava il Torino (quattro anni e mezzo di amarezze, caro Marco).

L’incidente del 2017 ce lo ha portato via. Non era morto, ma era come se lo fosse. C’era, ma non c’era. Questo innaturale stato di sospensione ha reso tutto più incomprensibile e tormentato, i sentimenti non trovavano una sistemazione. Mamma Paola non lo ha mollato un attimo, solo il Covid ha spezzato un doloroso rito quotidiano. “Per tre anni, tutti i giorni, con la neve, la nebbia , il freddo gelido o il caldo asfissiante, sono andata a salutare e chiacchierare con il mio Marco nell’ospedale dov’è ricoverato e dove ‘dormè perché in coma vegetativo – ha raccontato a questo giornale a fine marzo 2020 – lo accarezzavo, gli leggevo due giornali, la sua Repubblica e la Gazzetta dello sport. Da tre settimane non posso farlo più a causa di questo terribile virus, non posso accarezzarlo e non posso più parlargli. È rimasto solo, ed anch’io, chiusa in casa con il pensiero sempre rivolto a lui”. L’abbiamo tormentata per tutto questo tempo con la solita domanda, a cui lei gentilmente ha dato la solita risposta: “Marco è stazionario, dorme ancora”.

Marco è morto. C’è chi dice che ora sia libero. La sua risata ci mancherà, ci mancherà tutto di lui, giornalista competente, amico sincero. “Lo spirito continua”, recita una delle tue canzoni, caro Marco. Ma quant’è difficile, oggi.

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