Site icon Notizie italiane in tempo reale!

Elezioni in Israele: ora l’asso potrebbe essere il partito arabo di Mansour Abbas

TEL AVIV. Con l’89% dei seggi spogliati in mattinata, il rebus alleanze dopo le quarte elezioni legislative israeliane continua a rimanere irrisolto. Analisti e politici restano piuttosto cauti fino alla presentazione dei risultati definitivi, attesi solo per venerdì pomeriggio. Gli exit poll riflettevano il persistere del testa a testa tra il blocco di Benjamin Netanyahu e quello avversario, ma durante la notte c’è stato un cambiamento significativo: il partito Ra’am del parlamentare arabo Mansour Abbas passa la soglia di sbarramento e guadagna 5 seggi, diventando il vero asso di queste elezioni.

Elezioni in Israele, il voto all’ombra del Covid. Ed è ancora referendum sul futuro di Netanyahu

“Game changer”

Secondo le proiezioni di Channel 11, il blocco Netanyahu conta 52 seggi, quello dei suoi rivali 55, ossia, al momento, nessuno raggiunge i 61 seggi (su 120) necessari a formare una maggioranza. Nel mezzo ci sono 12 seggi che potrebbero essere l’ago della bilancia per cercare di sbloccare una situazione di stallo politico che si protrae dal dicembre 2018. Mentre all’inizio sembrava che i 7 di Naftali Bennett, la destra nazionalista che ammicca al centro, sarebbero stati sufficienti a Netanyahu per arrivare a 61, man mano che lo spoglio va avanti sembra che non basteranno. I 5 mandati di Ra’am di Abbas hanno quindi il potenziale di essere il vero “game changer” di questa ennesima tornata elettorale. Oltre agli ultraortodossi (16 seggi tra due partiti), alleati tradizionali di Netanyahu, e alla destra nazionalista religiosa di Smotrich (6 seggi), Bennett e Abbas sono infatti gli unici a non aver posto il veto a un nuovo governo del contestato premier in carica da 12 anni.

La prima volta di un governo che dipende da un partito arabo

Sarebbe la prima volta che le sorti di un governo israeliano dipendono da un partito arabo. Ra’am è espressione del Movimento islamista predominante nel Sud d’Israele e considerato moderato rispetto alla fazione settentrionale del movimento. Mansour Abbas, dentista di professione, era fuoriuscito nei mesi scorsi dalla Lista araba unita – la coalizione di quattro diverse liste che ora è data in calo a 6 seggi, da 15 della Knesset uscente – in polemica con la linea di non appoggiare governi sionisti, e tantomeno di destra. Abbas promuove invece una linea pragmatica di dialogo con “chi offre di più” – speculare all’atteggiamento dei partiti ultraortodossi ebraici anti-sionisti. E’ la prima volta che questo approccio viene offerto all’elettorato arabo – 21% della popolazione – che alla fine ha voluto premiarlo. Molti tra i cittadini arabi israeliani lo definiscono un esperimento. 

“Io non escludo nessuno, se non chi mi esclude”, dice Abbas nelle sue dichiarazioni, riferendosi in particolare alla destra nazionalista religiosa di Betzalel Smotrich, che Bennett aveva fatto fuori dal suo partito per ripulirsi nell’eventualità di un’alleanza con il centro-sinistra e che ora entra nella Knesset con esponenti dell’estrema destra che si oppongono a qualsiasi concessione territoriale, alcuni apertamente omofobi. Netanyahu ha bisogno anche di questi voti e non è chiaro se queste tre anime potranno convivere. 

Israele alle urne: rebus alleanze, ma la sfida resta su Netanyahu

Se dal canto suo Netanyahu, per garantirsi la sopravvivenza politica, sarà in grado di inglobare in una sua coalizione Mansour Abbas, o anche solo di basarsi sul suo appoggio esterno, si tratterà di un’apertura che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: innescherà infatti un meccanismo di legittimazione anche della Lista Araba Unita come possibile interlocutore di governo da parte delle opposizioni a Netanyahu. Abbas paradossalmente potrebbe preferire una coalizione di destra, perché più in sintonia con i partiti ebraici religiosi, piuttosto che con i partiti della sinistra progressista con cui entrerebbe in conflitto per esempio sulla promozione di diritti Lgbt. Lui infatti esprime un voto “reale, influente e conservatore”, come recita il suo slogan elettorale. E per aumentare il proprio potere contrattuale con Netanyahu, fa trapelare alla stampa di avere già in programma un incontro con Lapid a stretto giro.

Il Likud di Netanyahu è l’indiscusso vincitore con 30 seggi e un divario di 12 punti con il secondo partito, Yesh Atid di Yair Lapid che è dato a 18 seggi. Una variabile non da poco con cui dovrà fare i conti il presidente Rivlin nel stabilire a chi assegnare per primo l’incarico di formare un governo dopo le consultazioni che inizieranno il 31 marzo.

Il discorso della “semivittoria” di Bibi

 

Alle 2:30 di mattina Netanyahu ha preso la parola in un discorso che cantava solo una semivittoria. Anzi, la parola vittoria era scomparsa dal lessico rispetto ai primi tweet dopo gli exit poll, sostituita da “enorme risultato” per la destra e per il Likud. Il premier in carica sa infatti che Bennett potrebbe non bastare a raggiungere i 61 (al momento arrivano a 59) e quindi specifica: “noi non boicottiamo nessuno. Intendo parlare con ogni singolo parlamentare che si riconosca nei nostri obiettivi per evitare quinte elezioni”. 
Netanyahu sta già cercando disertori ovunque: gliene basterebbero 3, ma non sarà per nulla facile considerato che la coalizione anti Bibi è formata da tutta una serie di personaggi segnati da alleanze con Netanyahu finite in malo modo. Hanno poi tutti ben impressa la parabola di Benny Gantz – attuale ministro della Sicurezza che a maggio aveva sbloccato l’impasse acconsentendo a un governo di rotazione con Netanyahu, che non ha retto nemmeno 7 mesi. E oggi perde molto consenso diventando una delle tante formazioni medio-piccole con 8 seggi.

Come previsto, si apre una fase di negoziati sopra e sotto banco che potrebbe durare settimane, con numerosi scenari possibili che vedranno tutte le carte rimescolarsi come mai accaduto prima. E con tutti i giocatori in campo, l’opzione quinte elezioni per la prima volta sembra momentaneamente più lontana.



Go to Source

Exit mobile version