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Energia pulita, la burocrazia frena le rinnovabili d’Italia

L’ultimo segnale risale a pochi giorni fa, quando il premier Draghi e il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani hanno incontrato i vertici delle principali aziende energetiche e automobilistiche italiane: oggetto dell’incontro i progetti di trasformazione green del nostro Paese da presentare alla Commissione europea perché Bruxelles li finanzi con circa 70 dei 209 miliardi del Next Generation Eu destinati (in teoria) all’Italia. A margine del summit è trapelato che il governo sta lavorando ad una legge quadro: l’ipotesi più probabile è che il provvedimento sia ritenuto necessario da Palazzo Chigi per sveltire le procedure di approvazione e di realizzazione dei progetti.

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Ma sono settimane che dalla compagine di governo arrivano messaggi in questo senso. Il primo a parlarne esplicitamente in Consiglio dei ministri è stato proprio Cingolani che avrebbe più volte invocato una “rivoluzione burocratica”. L’Italia, avrebbe confidato il ministro a chi ci ha parlato nei giorni scorsi, è leader nelle energie rinnovabili ma le aste pubbliche vanno deserte perché gli imprenditori non vogliono più rischiare anni di attesa, ricorsi al Tar con conseguenti sospensioni dei lavori. Preferiscono partecipare alla gare indette da Paesi vicini, la Spagna per esempio. E il risultato è, per esempio, che da tre anni l’Italia promette di installare 5 Gigawattora di energie rinnovabili e puntualmente ogni anno riesce a fare impianti per appena il 10%.

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Il governo starebbe dunque riflettendo su come modificare le normative, magari invocando anche condizioni d’emergenza così come è stato fatto per accelerare la ricostruzione del Ponte Morandi a Genova. “Senza un iter agile”, avrebbe detto Cingolani ai colleghi di governo “c’è il rischio risultino vani tutti gli sforzi fatti per redigere un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) all’altezza delle richieste europee e per definire poteri e competenze del nuovo ministero”. Il timore di Cingolani e colleghi è che la burocrazia italica bloccando o rallentando gli interventi fermerà anche i finanziamenti di Bruxelles, perché il Next Genertion Eu prevede che l’Europa rimborsi le spese una volta esibite le fatture. Dunque i soldi non verranno anticipati ma erogati a opere ultimate.

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E questo spiega il fuoco di fila governativo sulla necessità di nuove regole che accelerino gli iter. A Cingolani ha subito fatto eco il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini: “Per avere i fondi europei opere pubbliche in 5 anni” (quando in media per una sopra i 100 milioni di euro ne servono quasi 16 di anni). E poi Enzo Amendola, sottosegretario agli Affari europei: “I fondi del Recovery? Per spenderli subito serve cambiare le regole”.

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Ora filtra l’idea di una legge quadro. L’importante è che non si tratti solo di una scorciatoia, ma di un sistema che riesca a conciliare la serietà dei controlli con la rapidità di esecuzione. Come dovrebbe accadere in un Paese moderno.



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