Energia solare, dagli Urali ai laboratori di Portici la perovskite rivoluziona i pannelli fotovoltaici

Pubblicità
Pubblicità

Dalle montagne degli Urali a Portici. Dalla linea montuosa che separa la Russia europea dalla sua parte asiatica al golfo di Napoli, ne ha fatta di strada il titanato di calcio. Fino a diventare la materia prima che potrebbe regalare energia a basso costo, nonché rinnovabile e senza emissioni di CO2, per traghettare l’economia mondiale verso la decarbonizzazione. Di sicuro nell’Unione europea, avendo deciso Bruxelles che entro il 2050 i paesi membri dovranno raggiungere il “livello zero” di emissioni.

In realtà, il nome con cui è più conosciuto è perovskite, dal nome del mineralogista russo Lev Perovski a cui è dedicato, dopo essere stato scoperto prima volta sugli Urali nel 1839. Per le sue caratteristiche, è parere ormai unanime di esperti e ricercatori che le celle dei pannelli solari in perovskite rendono molto di più del silicio per trasformare la luce del sole in energia. In altre parole, è il materiale del futuro nella produzione di pannelli solari: è un ottimo conduttore, è meno costoso perché si trova più abbondantemente in natura ed è più facile da lavorare.

Il team di ricercatrici dei laboratori Enea di Portici 

Ed è per quello che la perovskite è approdata in Campania: perché nei laboratori dell’Enea (l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), si studia da 20 anni l’energia fotovoltaica e in particolare quali materiali usare perché i pannelli possano essere i più efficienti e, cosa che non guasta mai, anche i più economici.

A Portici poche settimane fa l’equipe formata da tre ricercatrici –  Vera La Ferrara, Antonella De Maria e Gabriella Rametta – sotto la supervisione di Paola Delli Veneri, responsabile del Laboratorio Dispositivi Innovativi, ha ottenuto un nuovo record di efficienza pari al 20,8% per cella solare. In buona sostanza, l’efficienza (o rendimento) misura il rapporto tra la potenza della radiazione solare che colpisce la cella fotovoltaica e quanta energia poi rimane una volta che arriva ai morsetti collegati con la rete elettrica.

Rinnovabili: ecco le “comunità energetiche” per condividere l’energia solare

Può sembrare elevata una dispersione superiore all’80 per cento, ma solo un anno fa si parlava di un rendimento al 15% e nel 2009 era meno del 4%. Ora, grazie alla perovskite, altri centri di ricerca in giro per il mondo lavorano per arrivare fra non molto al 25-30 per cento.

Ma tra coloro che vogliono migliorarsi c’è il gruppo tutto al femminile di Portici. Paola Delli Venere ne è la portavoce: “Abbiamo avviato sperimentazioni con celle a perovskite ibrida organica-inorganica che utilizziamo anche per realizzare celle tandem monolitiche perovskite/silicio, ottenute ‘crescendo’ la cella in perovskite su quella in silicio. Questa tipologia di dispositivo tandem può consentire di oltrepassare il limite di efficienza previsto per una cella solare a singola giunzione in silicio, grazie ad un migliore utilizzo dello spettro solare”.

Se pensate che 20 anni siano tanti per arrivare a un risultato di questo tipo, pensate solo che non sarà la prima volta ne l’ultima nell’ambito della ricerca applicata. Si studia per anni e anni una tecnologia senza raggiungere risultati economicamente apprezzabili, fino a quando non si trova la soluzione da declinare in attività industriale profittevole.

L’ultimo e più clamoroso caso avvenuto non più di una quindicina di anni fa negli Stati Uniti. Le università americane hanno studiato fin dagli anni Cinquanta la possibilità di estrarre gas e petrolio dagli strati “scistosi”, alla caccia di piccole quantità di idrocarburi intrappolate nella pietre, invece di essere più facilmente disponibili in anfratti e pieghe della terra. Poi hanno trovato il modo di frantumare gli strati sotterranei, con getti d’acqua potenti e acidi e gli Stati Uniti, oltre a trovare nuove riserve di petrolio che li ha resi meno vulnerabili alle forniture dall’estero, sono diventati esportatori netti di gas naturale.

L’intervista

“Metti il peperoncino nel fotovoltaico. Così il pannello è più efficiente”

E’ la rivoluzione dello shale, che ha avuto negli ultimi anni come unico inconveniente – guarda caso – un limite economico: sotto i 45 dollari, le compagnie vanno fuori mercato, perché la caccia allo “shale” richiede di scavare pozzi di continuo. E per scavare ti indebiti e se le quotazioni scendono non si riesce più a ripagare gli investimenti.

Avventura affascinante, tecnologicamente parlando e nella sua ricaduta geopolitica. Ma lo shale potrebbe essere presto archiviato nei manuali di storia dell’energia in uno degli ultimi capitoli dedicato all’epoca degli idrocarburi. Dalla terra emergono i cristalli della perovskite a prenderne il posto: così facili da lavorare da essere vantaggiosi anche trasformati in film sottili che sono l’ideale per coperture come tetti e finestre. Rimangono da risolvere un paio di questioni non secondarie: soffre l’umido, condizione atmosferica che ne fa crollare il livello di efficienza e ìd è ancora instabile- Il che per una produzione su larga scala non è il massimo. Ma anche per questo esistono i centri di ricerca come Portici.        

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *