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Energica, visionaria e consapevole: Paola Mencarelli racconta la “sua” Florence Cocktail Week

Senese di nascita e fiorentina di adozione, difficile fermarla in un posto ma in ogni luogo si sente a casa, la si riconosce dalla chioma colorata e dalla parlantina con le ‘c’ un po’ aspirate, entusiasta e piena di vitalità. È Paola Mencarelli, la donna che sei anni fa ha portato in Italia la Cocktail Week, la cui prossima edizione è in programma a Firenze dal 20 al 26 settembre nei 45 cocktail bar che aderiscono in tutta la città, preceduta dalla terza edizione della Tuscany Cocktail Week, dal 13 al 19, vedendo coinvolte tutte le province regionali alla scoperta del bere miscelato di qualità. 

Ogni anno un colore diverso lega i momenti che si susseguono; non nei cocktail ma nello spirito che anima la Florence e Tuscany Cocktail Week, di che colore sarà questa edizione?
“International Blue Klein. Abbiamo voluto ispirarci all’arte con il colore creato da Yves Klein, artista francese che negli anni ’60 portò avanti uno studio sui colori assoluti: luminosità e vitalità dopo un periodo buio come quello che abbiamo vissuto da una parte, dall’altra la similitudine nell’atto creativo dall’artista. Klein usava schizzare le tele con macchie di colore, un po’ come il gesto creativo si può ritrovare nel gesto del barman nel miscelare il cocktail”.

Ogni anno diverso, con che criterio sono stati scelti questi colori?
“A volte la moda del momento, informandoci con esperti di moda sul colore pantone dell’anno, o suggerimenti. Il blue Klein è venuto da mia nipote e mia sorella. L’ispirazione è varia e il cambio di colore è importante per noi, intendiamo dare colore e luce nuove a ogni edizione”.

Paola eri astemia, almeno lo sei stata fino a quando non hai trovato una chiave di lettura. Nell’immaginario è strano per una toscana, regione vocata alla viticoltura, e per di più per l’organizzatrice della Florence Cockatil Week, che è successo?
“Il mio approccio all’alcol è stato da adulta, prima col vino a 28 anni e poi super alcolici a 35, diciamo che sono giovane dal punto di vista dell’esperienza alcolica. La mia formazione principalmente viene dalla partecipazione al master giornalismo del Gambero Rosso dove ho appreso i rudimenti, prima avevo fatto anche un corso di degustazione con Slow Food. Sugli spiriti è stato un mio interessamento personale e tanta esperienza sul campo, per la serie ‘si impara bevendo’ e confrontandosi con chi ne sa di più”.

Uno dei signature Cocktail della FCW 2021 (foto\Andrea Di Lorenzo) 
Da una bevitrice avvezza e avveduta allo stesso tempo, una manifestazione così nasce con approccio culturale o commerciale?
“Culturale. Vivo di cultura ed è il grande insegnamento del ‘mì babbo’. Prima di tutto c’è la cultura e si riflette nella manifestazione; all’inizio poteva essere un deterrente per le aziende, però ne hanno capito il valore. È stata una scelta abbastanza coraggiosa. Non sono mai stata una bevitrice, su uso e abuso dell’alcol sono molto rigida: nello staff metto dei limiti, superati i quali non si fa parte del gruppo di lavoro. Sono contraria a qualsiasi alterazione da abuso di alcol e qui torna un discorso culturale. Credo che ci sia bisogno di creare una generazione di bevitori consapevoli: non di non-bevitori, ma di individui mossi da un uso consapevole e responsabile dell’alcol. I liquori sono nati come medicamenti, erano le medicine del passato, con secoli di storia da raccontare: anche questa è una parte di cultura”.

Come è venuta l’idea di una Cocktail Week in Italia? E perché poi a Firenze?
“Mi sono avvicinata al mondo dei cocktail e dei bar attraverso i bar di hotel, sono stati la mia prima frequentazione ancor prima dei cocktail bar. Sono entrata in contatto con un amico che gestiva dei cocktail bar a Firenze: la prima idea è stata sua. Aveva partecipato alla cocktail week di Parigi e mi chiese se volessi organizzare con lui la prima edizione. Firenze è la mia, nostra città, senese di nascita sono fiorentina da trent’anni; in quel momento in città non c’era una realtà vivissima nella miscelazione, solo alcuni cocktail bar del mio amico, diventato socio, e qualche cocktail bar di albergo. Avendo un passato nell’organizzazione congressuale poi l’ho presa in mano io e ora sono organizzatrice unica ma aiutata da uno staff coeso, ma l’idea iniziale è stata sua: non mi voglio prendere meriti che non ho.

Siamo alle porte della sesta edizione, è trascorso un lustro dalla prima e di acqua in Arno ne è passata molta, non senza difficoltà negli ultimi periodi. Cosa è cambiato negli anni?
“Ha preso corpo e spazio nel corso delle edizioni; le aziende non potevano credere in noi all’inizio, giustamente, perché in Italia la Cocktail Week era senza precedenti. È stata una scommessa anche per chi ha investito su di noi dal primo momento, fra tutte ci sono cinque aziende italiane dal primo anno che non ci hanno mai lasciato. Ci sono state forza di volontà, determinazione e passione che a quanto pare funzionano. Partiti con sole aziende italiane adesso anche sponsor a livello internazionale, dalle multinazionali fino al piccolo produttore locale. È un’opportunità sia per noi che per le aziende, dedicando spazi specifici possiamo convogliare tutte le forze. Nella prima edizione c’era una sola masterclass con Diego Ferrari, mancava la percezione di cosa si trattasse, per cocktail bar e aziende. È un format costruito da noi, scandendo la giornata fra mastercalass, seminari e presentazioni prodotti nel pomeriggio, poi nella serata con i bartender dietro i banconi. Dalla terza edizione abbiamo deciso di inserire all’interno della manifestazione uno spazio specifico che abbiamo chiamato ‘Riesco a Bere Italiano’ in cui cerchiamo di valorizzare piccole aziende italiane meritevoli di attenzione”. 

Coraggio e un pizzico di incoscienza: così è rinata la Firenze dei grandi drink

Low alcool o miscelazione a bassa gradazione alcolica, se ne parlerà anche durante la Cockatil Week? 
“Fin quasi dall’inizio abbiamo inserito un eco-cocktail dedicato alla sostenibilità e al principio della miscelazione a bassa gradazione alcolica o analcolica. È una tematica sempre affrontata negli anni, con l’attenzione crescente ci siamo adeguati. In questa edizione abbiamo proposto il Cocktail Family Friendly per coinvolgere le famiglie al momento dell’aperitivo, un modo per ripensarlo non solo come esperienza alcolica dedicata agli adulti ma per coinvolgere l’intera famiglia con prodotti non alcolici. Alcuni organizzano un kids cocktail lab, laboratorio di miscelazione per i più piccoli; in agosto già ci sono stati due laboratori nei cocktail bar della Toscana al mare”. 

Solo un modo per coinvolgere le famiglie e dare un intrattenimento ai bambini, o c’è un pensiero futuro dietro a questa intenzione? 
“È un modo per sensibilizzare anche i bambini, nella mia idea c’è l’intenzione di formare una futura generazione di bevitori responsabili e consapevoli. È un po’ visionario, me ne rendo conto, ma da qualche parte bisogna pure iniziare!”.

Nella miscelazione ingredienti uniti secondo metodo e ricetta portano a una formulazione diversa dai singoli ingredienti, un po’ come in cucina. Non solo aperitivo o dopo cena, a volte anche abbinamento alle pietanze. Come senti questo aspetto e in che modo lo declini all’interno della Cocktail Week?
“L’’esperienza del pairing è da non sottovalutare a livello qualitativo, per farlo in maniera seria occorre una sinergia forte fra cucina e bar; in eventi speciali è difficile una sinergia così forte. Io non credo molto nel pairing, credo nello studio per arrivarci; così abbiamo deciso di inserire questa iniziativa, Pizza with the Spirits e Dining with the Spirits: l’utilizzo dei super alcolici come ingredienti. Non accostamento del cocktail al piatto, ma proprio gli spiriti nella preparazione, come se fosse il vino in cucina ma con un mondo molto più vasto, con tantissime tipologie che danno adito a un maggior numero di possibilità di creazione”. 

Da sinistra David Wondrich (storico della miscelazione), Paola Mencarelli, Luca Picchi (autore e barman), Salvatore Calabrese (barman e fondatore di The Maestro) e Babis Kaidalidis (fondatore dell’Athens Bar Show) fotografati da Martino Dini nell’edizione di FCW 2019  
In un confronto con l’estero cosa balza agli occhi? E provando a immaginare un confronto con Venezia dove si terrà la prossima edizione?
“Abbiamo adattato il format alla città, ognuna ha esigenze diverse. Dopo la prima edizione sono andata a vedere la London CW e lì ho capito che la Florence  sarebbe stata completamente diversa, lo sono la città e il pubblico. All’estero il bacino di utenza di bevitori è molto più alto, per questo le aziende sponsor investono maggiormente sentendosi più motivate. Il format può essere simile in tutte le città, ma va adattato: Firenze e Venezia sono simili per alcuni aspetti, due città d’arte e quindi molte delle attivazioni sono legate a un discorso culturale, non solo economico e commerciale. Le aziende partecipano per ritorno economico, ma a noi interessa valorizzare anche la cultura e la storia. Ed è per questo che a Firenze da tre anni facciamo un tour dei caffè storici, un itinerario per ripercorrere l’esperienza del bar a partire dal caffè letterario”.

Fra tutto ho capito che l’adattamento è fondamentale, come immaginare e plasmare la manifestazione sull’anima della città e sui temi. Dalla Laguna cosa ci aspettiamo?
“Sono curiosa anche io. È una città particolare, diversa da tutte le altre, con tratti comuni a Firenze ma diversa. Rimane il denominatore comune di due città d’arte animate dalla cultura, ma ha un’ospitalità molto diversa, basata principalmente sui bar di hotel, ci sono pochissimi cocktail bar”.

Lì all’ombra del campanile di San Marco spopolano i bacari e quella stessa ombra ha visto nascere lo Spritz. Che raccordo ci sarà?
“I bacari sono un altro mondo col quale non credo avremo tante interferenze: è un approccio diverso dal cocktail bar, per modi di fruizione e pubblici. Diciamo che non ci sarà il tour dei bancari durante la VCW. Quello che vogliamo fare è ridare valore a un cocktail conosciuto nel mondo ma in Italia abbastanza bistrattato e spesso realizzato con prodotti non sempre di qualità, dal ghiaccio alla base vinosa. Nella cocktail list ci sarà un twist sullo Spritz, in modo che i bartender si sentano stimolati e possano interpretarlo in chiave di estrema qualità. Venezia non ha mai avuto una manifestazione come questa, che crei comunità fra i bartender e credo sarà un buon modo per formare un senso di comunità e un dialogo fra professionisti”.

Che i capelli siano Blue Klein è facile capirlo, parlantina ed entusiasmo lo avevamo anticipato, ma che le novità non si fermano qui è ancora tutto da venire. A partire dal libro di prossima pubblicazione che documenta le prime cinque edizioni, “I Signature Cocktail di Florence Cocktail Week. 5 anni in 143 drink” edito da Giunti Editore al pensiero di una nuova città, per ora nei pensieri sotto la chioma blue!



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