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Ergastolo senza speranza? La Consulta potrebbe cambiare pagina

ROMA – Oggi la Consulta affronta un tema molto importante ma anche fortemente divisivo. Il cosiddetto ergastolo ostativo. Che Marco Ruotolo, costituzionalista dell’università Roma Tre e direttore del master in “Diritto penitenziario e Costituzione” definisce così: “È la situazione nella quale si trovano i condannati a una pena perpetua per reati di particolare gravità, soprattutto terrorismo e mafia, i quali, se non collaborano con la giustizia, non possono accedere alla misura della liberazione condizionale”.

E cioè non possono uscire mai più dal carcere?

“Sì, non possono accedere a una misura che consente all’ergastolano, dopo 26 anni di pena, di richiedere quella che il codice penale considera come causa estintiva della pena che può essere riconosciuta quando il reo abbia dato prova di ‘sicuro ravvedimento’.”

Invece, per mafiosi e terroristi non pentiti, ottenere la liberazione condizionale è impossibile? E perché?

“La mancata collaborazione con la giustizia viene considerata un indice insuperabile di pericolosità e dunque di sicura assenza di ravvedimento”.  

La Cassazione adesso chiede che tutto questo sia cancellato? Secondo lei è una richiesta condivisibile? 

“La questione è proprio questa: se il reo non collabora, scatta una preclusione assoluta ad accedere alla liberazione, che appare in contrasto con la finalità rieducativa della pena e con l’esigenza di considerare il percorso penitenziario di ciascun detenuto. Con il tempo la persona detenuta può cambiare, e, come lei, anche il contesto criminale di riferimento può subire variazioni significative”. 

E quindi che succede? Che anche il mafioso, secondo la richiesta ipotizzata dalla Cassazione, potrebbe uscire dal carcere? 

“Se la Corte costituzionale dovesse decidere in questa direzione, sarebbe il giudice della sorveglianza a stabilire, caso per caso, se applicare la misura, verificando non solo il percorso penitenziario del singolo detenuto, ma anche, e forse soprattutto, accertando che non vi siano tuttora permanenti collegamenti con il gruppo mafioso o terroristico di appartenenza”.  

Mi dica due cose: lei come la pensa e come pensa che andrà a finire alla Consulta? 

“Per me la pena perpetua è, in sé, disumana e contraria alla finalità rieducativa….”. 

Scusi ma davvero per lei l’autore di gravi stragi può essere rieducato? 

“Penso che debba essere offerta a tutti la possibilità di un riesame della propria situazione, anche se continuo a ritenere che la collaborazione con la giustizia debba essere la via maestra per ottenere i cosiddetti benefici penitenziari. Però l’assenza della collaborazione dovrebbe rendere la concessione difficile o improbabile, ma mai impossibile”. 

Ma lei se le ricorda le polemiche esplose, due anni fa, quando la Consulta – anche in quel caso il relatore era il giudice Nicolò Zanon – stabilì che, come in questo caso, anche i mafiosi non pentiti potevano ottenere i permessi premio? Le reazioni allora furono molto dure, anche di noti magistrati antimafia.

“Purtroppo, quella decisione fu travisata, come se nella sentenza ci fosse scritto ‘liberi tutti’. Ma non era affatto così”. 

E perché? Lo spiega a chi contestò una concezione troppo buonista del carcere?

“La Corte allora si limitò a rimuovere l’ostacolo della collaborazione obbligatoria per concedere il permesso premio. E restituì proprio al giudice il compito di valutare la singola situazione. Sottolineò, inoltre, a più riprese, che la sola buona condotta non sarebbe stata sufficiente per ottenere il permesso, in quanto era necessario valutare analiticamente se esistevano ancora eventuali rapporti con la criminalità organizzata”. 

Che succede per i detenuti al 41bis, ossia al carcere duro?

“Se il presupposto per l’applicazione del 41bis è l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, non vedo come, in assenza di revoca di quel regime, sia possibile concedere il permesso premio o, in prospettiva, la liberazione condizionale”. 

Nel prendere una decisione che, comunque vada, sarà oggetto di polemiche, o di chi vuole un carcere più morbido, o all’opposto di chi lo pretende sempre e comunque durissimo, la Consulta avrebbe alle spalle una sentenza della Corte di Strasburgo?

“Sì, la Cassazione ha indicato tra i parametri del giudizio la violazione di un preciso obbligo internazionale che la Corte dei diritti dell’uomo ha tradotto nel divieto di assoggettare il condannato a una pena immutabile, e cioè non effettivamente riducibile. E comunque, a mio avviso, sarebbero sufficienti i principi della nostra Costituzione per concludere che in nessun caso le scelte repressive possono relegare nell’ombra il profilo rieducativo della pena”. 



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