Essere assunti in smart working: la produttività cala del 18% rispetto ai colleghi che sono in ufficio

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ROMA – Settembre è alle porte e per molti lavoratori la questione ancora in sospeso è se il ritorno in ufficio sarà alla vecchia maniera pre Covid o in smart working. Tra ceo e manager che spingono (o addirittura obbligano) per il ritorno in presenza, e lavoratori che non vorrebbero mai abbandonare la scrivania in salotto, si inseriscono ricerche e studi che tentando di dimostrare la bontà di una o dell’altra scuola di pensiero .

Il piano per l’Ambiente spinge lo smart working. Ma dalle connessioni lente ai dirigenti diffidenti, per la Pa è un percorso a ostacoli

Lo studio tra i neo assunti

A supporto di chi sostiene che lo smart working sia un escamotage per lavorare meno Bloomberg riporta uno studio condotto da economisti del Massachusetts Institute of Technology e dell’Università della California, su alcuni lavoratori indiani neo assunti. Lo studio non lascia dubbi: la produttività dei giovani a cui è stato chiesto in modo casuale di lavorare da casa è inferiore del 18% rispetto a quelli che erano in ufficio. I due terzi del calo della produttività – chiamalo se vuoi effetto spaesamento per il fatto di non aver mai neanche messo piede in azienda – sono stati evidenti sin dal primo giorno. Non solo. I dipendenti che preferivano lavorare da casa erano ancora meno produttivi di quelli che avrebbero preferito essere in ufficio (27% in meno rispetto a un più rassicurante 13% in meno per i lavoratori che preferiscono l’ufficio). Ma c’è chi obietta che poiché i lavoratori della ricerca sono stati assunti di recente, i loro risultati potrebbero differire da quelli dei “vecchi” dipendenti che passano a una modalità remota dopo aver lavorato sempre in ufficio. “Ovviamente c’è una grande differenza tra qualcuno che comprende già bene il lavoro e conosce la cultura dell’azienda” ha spiegato  David Atkin, professore di economia al Mit e coautore dell’articolo.

La scappatoia (mal riuscita) del rientro in ufficio con l’ibrido

Il vantaggio economico di risparmiare sugli immobili

Questa ricerca è solo l’ultima di un dibattito che sta infuriando nelle sale riunioni, nelle chat della piattaforma Slack e nei circoli accademici. Da un lato quelli come ll co-fondatore e ceo di Airbnb, Brian Chesky, ha inviato una e-mail ai dipendenti di tutto il mondo invitandoli a vivere e lavorare dovunque vogliano. Dall’altro le grandi banche di Wall Street, cominciando da Goldman Sachs, stanno spingendo per un rientro in ufficio di 5 giorni a settimana.

Addio Zoom, per i ceo è il momento di disattivarlo e tornare in ufficio

Cerca di fare chiarezza Jose Maria Barrero, economista e co-fondatore di WFH Research, (gruppo dedicato allo studio delle modalità di lavoro a distanza), che sostiene che la ricerca non fa che confermare che il lavoro completamente a distanza è meno produttivo di quello in presenza o ibrido. Ma c’è un però, sostiene Barrero: “Anche se il lavoro completamente a distanza è meno produttivo, potrebbe comunque valerne la pena per le aziende che risparmiano somme sostanziali sugli immobili”. Un’altra analisi della società di consulenza McKinsey & Co, tra i propri dipendenti ha rilevato che circa il 50% del tempo trascorso in loco era il punto ideale per il lavoro ibrido. Viceversa altri studi hanno rilevato che gli accordi ibridi non hanno avuto un impatto significativo sulla produttività , sebbene i dipendenti fossero sostanzialmente più felici. Insomma, non sarà facile arrivare a una soluzione in grado di soddisfare tutti e – soprattutto – di garantire risultati sicuri in un senso o nell’altro.

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