Fedelissimi e pochi esterni: tra i candidati di Meloni anche neofascisti e indagati

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ROMA – L’esercito di Giorgia in marcia verso il Parlamento. Con i sondaggi favorevoli che potrebbero far triplicare la rappresentanza di Fratelli d’Italia, Meloni porta in Parlamento una grande parte della classe dirigente del territorio. Basta dare un’occhiata alla lista dei candidati alla Camera nei collegi uninominali, ampiamente assegnati al centrodestra dai sondaggisti: su 58 nomi di FdI solo due sono di “esterni” (l’ex pm Carlo Nordio e l’ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro), 19 sono uscenti e gli altri 37 hanno tutti un’esperienza politica: dirigenti di partito, ex candidati, consiglieri comunali e di circoscrizione, assessori regionali.

Ora, non è che nelle liste (se includiamo anche i plurinominali e il Senato) non manchi qualche volto estraneo alla politica: dall’avvocata italo-egiziana Sara Kenani all’imprenditore cremasco Renato Ancorotti, da Ester Mieli (ex portavoce della comunità ebraica di Roma) all’autore televisivo Gianmarco Mazzi. Ma non c’è il colpo ad effetto: ha declinato l’invito a candidarsi, ad esempio, la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, che pure si esibì sul palco della convention di FdI a Milano. E, al di là dei grandi ritorni (Tremonti, Pera, l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata), le candidature di Fratelli d’Italia raccontano una cosa chiara: l’obiettivo di Giorgia Meloni è quello di “fidelizzare” le Camere con esponenti politici nati e cresciuti nel mondo della Destra. “Vogliamo deputati e senatori su cui possiamo puntare al cento per cento, che non tradiscano come spesso è accaduto a colleghi di altri partiti”, dice Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fdi a Montecitorio.

Fatto sta che l’invasione della destra porta con sè candidati che nel curriculum – oltre a genuine storie di militanza – hanno discutibili cedimenti alla nostalgia verso il Ventennio. O alle prese con grane giudiziarie. Tommaso Foti, in corsa in Emilia Romagna, ama pubblicare post con le foto di Mussolini e non più di cinque anni fa diceva che “non si può vietare di usare accendini con l’immagine del Duce, esporre un manifesto con il suo volto, indossare la maglietta che lo ritrae, andare a Predappio: le idee non si arrestano”. Non sono bastati, queste e altre dichiarazioni visibili sul web (“Il 25 aprile non è la mia festa”), a porre qualche interrogativo sull’opportunità della candidatura di Foti. Nè ci sono state remore davanti all’indagine per corruzione e traffico di influenze illecite che coinvolge il candidato piacentino. D’altronde, Foti è in buona compagnia: Guerino Testa, candidato in Abruzzo, ha patteggiato una condanna a un anno e mezzo per bancarotta fraudolenta, reato per cui oggi è sottoposto ad altra indagine. Mentre in Lombardia trova un posto in lista Giangiacomo Calavini, indagato per corruzione assieme a Carlo Fidanza, l’eurodeputato ripreso nel 2021 mentre faceva il saluto romano a una cena elettorale.

È soprattutto il web a far riaffiorare le ombre nere. Silvio Giovine, candidato nell’uninominale Veneto 2, ricorda che la Befana “è una ricorrenza istituita da Mussolini nel 1928 per i meno abbienti. Ora chi glielo spiega ai miei nipotini che rischiano da sei mesi a due anni di reclusione se aprono la calza?”. Chiara Colosimo, in lizza nel Lazio, nel 2010 si volle far riprendere da Mtv con alle spalle il volto di Corneliu Zelea Codreanu, leader nazionalista della Guardia di ferro rumena. C’è chi, come Alessandro Urzì (in lizza il Veneto) nel 2015 faceva balenare la proposta di abolire la festa della Repubblica e chi come Maria Cristina Sandrin nel 2018 auspicava le dimissioni di Mattarella. Negli archivi rimane una non elegantissima frase di Gabriele Zanon, in corsa in Veneto, che nel 2010 definì i finiani “gay di destra che stravedono per Bocchino perché è duro e inflessibile”. Fino ad Alberto Campanella, candidato in Liguria, che nel 2018 su Facebook insultò l’allora presidente della Camera Laura Boldrini con il neologismo “Boldracca”. La deputata del Pd oggi ricorda quell’episodio di “volgare misoginia” e dice a Meloni che Campanella “non può sedere in Parlamento”.

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