Fibrillazione atriale, ecco l’esame che aiuta a prevenire l’ictus

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In chi soffre di fibrillazione atriale, sale il rischio per il cervello. Il “nemico” da individuare e contrastare è il coagulo di sangue, che si può formare per le perturbazioni nei normali flussi circolatori legati all’aritmia più diffusa, frequente soprattutto nella terza età. I grumi, infatti, possono anche spostarsi ed andare verso i vasi che irrorano il cervello, provocando appunto l’ictus. Scoprirli in anticipo, però è difficilissimo. Per rilevarli, quando il test è indicato, normalmente si impiega un esame indaginoso, l’ecografia transesofagea, che prevede l’impiego di una sonda inserita proprio nella prima parte del tubo digerente attraverso la bocca e richiede ovviamente una sedazione. Ora però, dagli Usa giunge una prima osservazione su poche persone che apre la strada ad un futuro monitoraggio mirato e praticamente non invasivo per chi è a rischio di formare questi coaguli pericolosi. L’hanno messo a punto i ricercatori del Massachusetts General Hospital, pubblicando il loro lavoro sulla rivista JACC – Cardiovascular Imaging.

L’idea è quella di “colorare” gli accumuli di fibrina con uno speciale “segnalatore”, un mezzo di contrasto specifico individuabile poi con la Pet. Quindi in modo non invasivo. Lo studio, coordinato da David Sosnovik che è anche docente all’Università di Harvard, è semplice. Prevede l’impiego di un agente messo a punto per legarsi alla fibrina, la “colla” che unisce l’impasto del coagulo. Grazie a questa “spia” in pratica i grumi presenti nell’organismo e non solo nel cuore, si comportano come lampadine e si accendono, venendo facilmente individuati nel torrente circolatorio. Lo specialista quindi, con un’iniezione endovenosa in una piccola vena immette nel sangue la sostanza che si lega alla fibrina. Questa, se non trova coaguli, viene rapidamente eliminata. Ma se si lega al grumo può essere facilmente tracciata con la tomografia ad emissione di positroni, appunto la Pet.

Al momento gli studiosi hanno valutato la sicurezza di questo approccio in pochi volontari sani, poi lo hanno somministrato a persone che soffrivano di fibrillazione atriale, in alcuni casi con coaguli all’interno del cuore e in altri no. Ed hanno visto che nei soggetti senza grumi non si è visto nulla, mentre si sono accessi segnali luminosi in corrispondenza dei coaguli. La “spia”, quindi si muove bene nel sangue ed è estremamente precisa.

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“La possibilità di diagnosticare la presenza di coaguli nell’atrio sinistro senza ricorrere a metodi come l’ecocardiografia per via esofagea sarebbe di grandissimo aiuto per i pazienti con fibrillazione atriale – commenta Giulio Molon, direttore della Cardiologia presso lIrccs Sacro Cuore di Negrar. Attualmente i pazienti vengono sottoposti ad ecografia transesofagea, con necessità di sedazione, impegno di personale, tempo, qualche possibile rischio connesso alla procedura. L’idea alla base di questa ricerca eliminerebbe tutto questo rendendo molto più agevole la ricerca nei pazienti con ictus, per confermare l’eventuale causa cardioembolica, Non solo: questa tecnica sarebbe di estremo aiuto anche per escludere la presenza di trombi, cosa che facciamo regolarmente prima di interventi sul cuore per patologie aritmiche come l’ablazione e le cardioversioni, al fine di procedere in sicurezza. La prospettiva è davvero interessante, considerando che in futuro si potrebbe impiegare questa strategia per la ricerca di trombi in altre patologie come ad esempio la tromboembolia polmonare”.

Ovviamente ci vorrà ancora tempo prima di pensare all’impiego di routine di questo approccio in clinica. ma l’importante è aver gettato un seme nell’affannosa ricerca di possibili coaguli nel cuore, e non solo, legati alla fibrillazione atriale. Proprio a questi grumi, infatti si può legare la comparsa di un’ischemia cerebrale: il rischio di un ictus in condizioni di questo tipo può salire anche fino a cinque volte, e per questo si indicano trattamenti specifici in chiave preventiva.

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