Nei concitati istanti successivi all’arresto di Matteo Messina Denaro, una delle prime telefonate del colonnello Lucio Arcidiacono, alla guida del primo reparto investigativo del Ros dei carabinieri, è stata per loro: sono giorni di “orgoglio, dolore e ricordi” per Giannino Salvi e Lorenzina Vitali, i genitori di Filippo Salvi, il 36enne maresciallo originario di Botta di Sedrina (nella Bergamasca) morto il 12 luglio 2007 precipitando in un burrone del monte Catalfano tra Aspra e Mongerbino (a Bagheria, nel Palermitano) mentre posizionava una telecamera che, per gli investigatori, avrebbe potuto aiutare nella cattura del boss latitante.
Proprio a lui Arcidiacono ha dedicato l’operazione e, ancora prima di presentarsi davanti alle telecamere per comunicare ufficialmente la notizia, ha voluto parlare con la famiglia di Filippo: “Non servivano tante parole, anche perché stavamo piangendo entrambi – racconta Giannino Salvi – Mi ha solo detto di ascoltare le sue interviste e in tutte infatti ha ricordato nostro figlio”. In questi giorni i genitori di Salvi stanno scoprendo “nuovi aneddoti su Filippo grazie alle testimonianze di chi l’ha conosciuto in Sicilia e ha lavorato al suo fianco – prosegue il padre – Del suo lavoro non ci raccontava quasi nulla, era il suo modo di proteggerci”.
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Se a Sedrina, dov’era nato e cresciuto, era rimasto per tutti Filippo, in Sicilia i suoi colleghi – “che lui chiamava fratelli” precisa mamma Lorenzina – l’avevano ribattezzato “Ram” per le sue riconosciute abilità informatiche. “Noi non eravamo entusiasti della carriera che aveva deciso di intraprendere. Certo, eravamo e siamo orgogliosi di lui, ma il fatto che trascorresse la sua vita in mezzo ai mafiosi mi spaventava molto – spiega la signora Vitali – Ma quando gli parlavo delle mie preoccupazioni lui mi rassicurava: era innamorato del cielo azzurro e del mare della Sicilia e soprattutto credeva profondamente in quello che faceva”.
L’unico episodio che Salvi aveva condiviso con i familiari era legato al suo incontro con Totò Riina in un’aula di tribunale: “Il boss gli aveva detto: ‘Non sei un terrone’ e un collega di Filippo aveva risposto che infatti veniva da Bergamo – ricorda Lorenzina Vitali – Riina gli aveva chiesto chi gliel’avesse fatto fare e mio figlio aveva risposto semplicemente: ‘Sono venuto apposta per lei’. Quella era la sua missione e l’ha portata avanti fino alla fine”.
Oggi, a pochi passi dalla casa in cui abitano i suoi genitori e dove un giorno sarebbe voluto tornare a vivere anche lui – “nell’appartamento sopra al nostro, che era già pronto” – c’è la piazza “Filippo Salvi”, che l’amministrazione comunale gli ha dedicato lo scorso luglio, nel quindicesimo anniversario della morte. “Tutta la comunità ha partecipato, dalle associazioni che hanno contribuito a organizzare la giornata ai semplici cittadini – sottolinea il sindaco di Sedrina, Stefano Micheli – Filippo Salvi era un autentico servitore dello Stato e ne siamo tutti molto fieri. In questi giorni il telefono continua a squillare e corro da una parte all’altra, ma per onorare la sua memoria si fa questo ed altro”.
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Una vicinanza di cui la famiglia è profondamente grata “tanto all’amministrazione comunale quanto all’Arma dei carabinieri – prosegue Giannino Salvi – Non ci lasciano mai soli e ogni volta che passiamo al cimitero a salutare Filippo troviamo sulla sua tomba un pensiero, che sia un fiore o una macchinina giocattolo dei carabinieri”. Il legame di Salvi con il suo paese d’origine si era ulteriormente rafforzato con la lontananza: “Quand’era ragazzo, lui e i suoi amici andavano sempre a Bergamo perché dicevano che qui non c’era niente da fare – sorride la madre – Poi, crescendo, mi ripeteva sempre: ‘Mamma, Botta è un paradiso, è il mio nido’. Gli mancavamo noi e le sue sorelle, Giusi e Francesca, a cui era legatissimo, ma sapeva che in Sicilia c’era bisogno di lui”.
L’affetto che oggi circonda tutta la famiglia del maresciallo dei Ros va ben oltre i confini di Sedrina: il gruppo Facebook “I fratelli di Filippo Ram” conta 650 membri (oltre 200 dei quali si sono iscritti negli ultimi due giorni e stanno postando messaggi di gratitudine) e in Sicilia, ad Aspra, non lontano da dove avvenne la tragedia nel 2007, gli è stato tributato un altro importante riconoscimento. La piazzetta di fronte al Museo dell’acciuga è intitolata a Filippo Salvi per decisione di Michelangelo Balistreri, fondatore e anima del museo: “Il giorno in cui è morto Salvi stavamo festeggiando il compleanno di mio figlio. Non appena è arrivata la notizia, abbiamo sospeso la festa – racconta – Da allora ogni anno proponevo di organizzare un evento in sua memoria, ma non se ne faceva mai nulla e il tempo passava. Così ho fatto di testa mia”. Balistreri ha preso “lo sportello di una barca e l’ho trasformato in una targa – spiega – La piazza del museo è mia e l’ho intitolata alla memoria di Filippo, un ragazzo che ha dato la vita per liberarci dalla mafia come hanno fatto Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, don Puglisi, Impastato e tanti altri di cui ho voluto che venissero dipinti i volti sulle mie barche da pesca”.
Ogni anno il 12 luglio, in occasione dell’anniversario della morte di Salvi, Balistreri organizza un semplice momento di preghiera: “Il sindaco di Sedrina è già stato qui tante volte e si è creato un bel gemellaggio, tant’è vero che presto doneremo al Comune di origine di Filippo un’opera dello scultore Francesco Maglio realizzata con le radici d’ulivo – continua – Spero che un giorno verranno anche i suoi genitori. Io li aspetto. La Sicilia è amore, non mafia”. Non per nulla, ai tanti bambini che arrivano in gita scolastica al museo, “racconto che nel mare ci sono le acciughe e i pescecani. I mafiosi sono i pescecani, ma se le acciughe si mettono tutte insieme li sconfiggono – conclude Balistreri – Si tratta di un messaggio importante, che diffondo anche per onorare la memoria di Filippo”.
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