Firenze, addio a Sandra Alvino, storica paladina dei diritti delle transessuali

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Se ne va una storica paladina dei diritti delle transessuali: Sandra Alvino si è spenta nella mattina del 13 marzo,  a 77 anni, dopo una lunga malattia. E’ stato il marito, Fortunato Talotta,  dare l’annuncio: insieme, avevano vissuto la “scandalosa” benedizione di Don Alessandro Santoro, sacerdote di strada la cui comunità ha sede alle Piagge, quartiere problematico all’estrema periferia di Firenze. Un gesto che sollevò un polverone prima di tutto all’interno dell’istituzione ecclesiastica (che comunque l’ha aiutata nei momenti di difficoltà: “Io sono cattolica – diceva Sandra – e al Papa chiedo che riesca ad accettare la nostra situazione. Siamo persone che hanno sofferto, vivono nell’onestà e hanno la fede, ma purtroppo non avendo un corpo adeguato al sesso e alla mente lo hanno modificato per vivere meglio, chiediamo che la Chiesa accetti la nostra condizione e le nostre unioni”). Il carattere combattivo di Alvino non mancò di farla entrare anche in polemica con lo stesso Don Santoro e la rilevanza sui media che lui aveva dato a quella cerimonia: si era sentita “sfruttata”, riteneva che Don Santoro avrebbe potuto essere al suo fianco nelle tante battaglie combattute, cosa che “poi non è avvenuto pienamente”.

“Io sono una signora”, diceva con orgoglio Sandra Alvino, presidente dell’Associazione italiana transessuali, nata uomo, ma che di ha sempre vissuto come donna, “un sempre che ha pagato caro, con tanto di confino e condanne per aver combattuto il suo riconoscimento” ricorda il marito: cambiò sesso nel 1974, nel 1982 l’unione civile con Talotta nel carcere fiorentino di Sollicciano,  anche se il loro amore era scoppiato nei primi anni Settanta in altre celle: quelle delle Murate, lo storico penitenziario nel centro della città, poi dismesso. E proprio grazie all’esperienza della detenzione aveva trovato ancora più forza per battersi a favore dei diritti civili, lotta che la vedeva già in prima linea negli anni Sessanta, “quando ci siamo battute per dimostrare che eravamo donne e non uomini o vie di mezzo. Il 14 aprile del 1982 abbiamo ottenuto la legge 164, secondo la quale il giudice può disporre una ‘rettificazione di attribuzione del sessò e riconoscerti di sesso femminile anche se sei nato di sesso maschile. Oggi sto lottando ancora, ma contro il fatto di essere accomunata ai trans che si spogliano per strada e che si prostituiscono. Ho pubblicato un libro, ho scritto al presidente della Repubblica, ho chiesto aiuto ai vari presidenti del Consiglio, ai vari sindaci, Renzi e Nardella compresi, con bei sorrisi e loro strette di mano davanti a telecamere e fotografi, ma poi senza portare a termine le loro promesse e impegni presi”.

Una signora, sì, ma che amava provocare, far discutere, imporre all’attenzione di tutti i problemi della transessulità anche con modi non spartani, ma sempre nel rispetto degli altri:  “Io sono una donna e ho sempre cercato la dignità che non mi è mai stata data – diceva di sè – Ho passato quattordici anni in prigione, mi hanno dato anche il falso ideologico per aver messo una ‘a’ al posto di una ‘o’ sul nome della mia carta di identità. Mi sono sposata e non sono riuscita a trovare un lavoro, cosi sono entrata in depressione e sono stata dichiarata invalida. Io sono una persona onesta, non sono mai andata a spogliarmi in tv e ho sempre salvaguardato il nome dei miei genitori”.

L’ultimo ricordo ora spetta al marito: “Sandra Alvino, una donna che ha combattuto con tutte le sue energie, senza guardare in faccia nessuno, pagando sempre in prima persona, oggi lascia questa terra con la speranza che le sue lotte, le sue sofferenze siano servite a costruire una società più civile e più attenta a chi rivendica il giusto riconoscimento della propria identità”.

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