Fonogrammi, telefoni e binari unici. “Due terzi della rete fermi all’anno zero”

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I fonogrammi, oggi. Il binario unico e i blocchi telefonici sette anni fa. Siccome le parole sono importanti, è interessante notare come a ogni disastro ferroviario compaiano sulla scena termini desueti che sembravano ormai essere scomparsi nel lessico comune. Nell’era dell’intelligenza artificiale, ieri la procura di Ivrea era alla ricerca non di mail ma di fonogrammi. Com’è possibile? «Non è un caso», ragiona uno degli investigatori che si sta occupando della strage di Brandizzo. «Perché la verità è che sulle linee italiane, e in particolare su quelle regionali o comunque non toccate dall’alta velocità, esistono sistemi tecnologici antichi, quando esistono. In parte è inevitabile, vista la grandezza della rete. Ma quando accadono questi disastri non dobbiamo meravigliarci».

Qualche dato: le migliori tecnologie — il sistema Ertms/Etcs lo standard richiesto dall’Europa — sono installate su meno di un terzo della rete ferroviaria. Si tratta principalmente dei chilometri dell’Alta velocità con bandi che avrebbero dovuto garantire più di tremila chilometri nel giro di tre anni. Il condizionale è d’obbligo perché i fondi a garanzia di questi investimenti dovevano arrivare dal Pnrr, ma si tratta proprio di quelli che il Governo ha definanziato nell’ultima tranche, sostenendo che fossero a rischio perché i cantieri avevano tempi troppo lunghi. Garantendo, comunque, i lavori con altri tipi di fondi.

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«In una situazione come quella di Brandizzo», spiega Luca Save, esperto di sicurezza ferroviaria e fattori umani, già consulente del ministero, «un aiuto tecnologico sarebbe stato utile, come in ogni situazione. Ma da quello che emerge la questione è forse più semplice: ho sentito parlare di un errore umano ma a causare una tragedia in questo caso c’è stato sì un errore, ma anche un problema di gestione. Gli operai mi sembra di capire che sono entrati sui binari senza il nulla osta. Ma tendo a escludere il colpo di testa: il problema sono le cattive abitudini consolidate, gli eccessi di fiducia. Io credo che su questo sia necessario intervenire».

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Save tocca un punto cruciale. Perché restando ai dati dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansfisa) proprio le cattive pratiche sulle manutenzioni sono la seconda causa di incidenti, dopo la presenza dei pedoni sui binari. «È evidente — attaccano i segretari generali della Filt Cgil (trasporti) e Fillea Cgil (edili), Stefano Malorgio e Alessandro Genovesi — l’esigenza di rimettere mano al mondo delle manutenzioni ferroviarie, cioè a procedure, tecnologie, organizzazione del lavoro che per carichi di lavoro, mancanza di qualificazione delle imprese e dei lavoratori, rischiano di far ripetere stragi come quella di Brandizzo. Servono tempi congrui per i lavori senza le tante pressioni che spesso registriamo. Ed è poi necessario quell’automatismo tecnologico che garantisca l’allineamento tra circolazione e manutenzione».

Sull’alta velocità questo esiste. Sul resto della rete, no. «Ma attenzione, le nostre infrastrutture sono tra le più avanzate tecnologicamente in Europa», dice Vito Pertosa, imprenditore illuminato e patron della Mermec, azienda italiana leader nel mondo sulla sicurezza ferroviaria. Hanno appena finito di lavorare nella metropolitana di Tokyo e, tra qualche giorno, saranno premiati a Singapore per il lavoro fatto sulla sicurezza dei treni. «È evidente che, come accade tra strade locali e autostrade, le condizioni cambiano a seconda delle tratte. Ma l’Italia ha sempre scelto la strada della sicurezza e innovazione e Rfi è una delle aziende che investe di più sulle tecnologie. L’errore sarebbe fermarsi».

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