“Fu una donna a uccidere Nada Cella”. La tesi di un master riapre il caso

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 Per 25 anni la verità è rimasta sepolta. Un assassinio brutale senza un perché, un’indagine tanto complicata e pasticciata da non arrivare nemmeno a un processo. E invece mai come adesso la morte di Nada Cella, massacrata nello studio del commercialista dove lavorava a Chiavari, potrebbe essere ricostruita e svelata.

Svolta nel delitto Nada Cella: una donna indagata per omicidio

Grazie soprattutto alla passione e alla competenza di una criminologa pugliese partita da una tesi scritta in un master universitario, e arrivata a un punto di svolta mai raggiunto in cinque lustri, la Procura di Genova accusa una donna di omicidio volontario: Annalucia Cecere, oggi 53enne, che oggi vive in Piemonte. E iscrive sul registro degli indagati per false informazioni al pm altre due persone: Marco Soracco, lo stesso commercialista che quella mattina del 6 maggio 1996 trovò Nada agonizzante, colpita alla testa con un oggetto mai ritrovato, e la madre del commercialista, Marisa Bacchioni, che tuttora vive con il figlio nello stesso palazzo di via Marsala.

Dopo mesi di interrogatori compiuti dalla pm Gabriella Dotto e dagli agenti della squadra mobile diretta da Stefano Signoretti, oggi verrà conferito l’incarico di analizzare il Dna sulla camicetta allora indossata da Nada e su una sedia dello studio, dove sono state trovate tracce sia femminili che maschili. Analisi affidate a Emiliano Giardina, il genetista che arrivò a “Ignoto 1” nel caso di Yara Gambirasio. Lavorerà fianco a fianco con i poliziotti della Scientifica.

Se negli ultimi mesi gli inquirenti hanno lavorato notte e giorno, tutto è nato dal lavoro della criminologa di Bari Antonella Pesce Delfino. È lei che nel 2017 si interessa al caso durante un master in criminologia. È lei che conosce la madre 78enne di Nada, Silvia Smaniotto, che oggi definisce la consulente “un angelo che ha frugato nel passato e che non finirò mai di ringraziare”. Insieme all’avvocata Sabrina Franzone rivoltano le 12mila pagine che la Procura mette loro a disposizione. E insieme a pm e polizia, analizzando 12mila pagine agli atti, scoprono gli incredibili errori commessi allora dagli investigatori.

Annalucia Cecere era stata indagata pochi giorni dopo il delitto, perché ben due testimoni avevano fatto il suo nome ai carabinieri che allora indagavano. Un mendicante, oggi deceduto, e un anonimo rintracciato dal pm. I militari avevano fatto irruzione in casa sua, repertando alcuni eleganti bottoni sfilati da una giacca da uomo. Parte di un bottone identico era stato invece trovato sulla scena del delitto. Eppure, incredibilmente, allora la Procura di Chiavati e i carabinieri fecero la comparazione attraverso foto sbiadite, e non direttamente sugli oggetti sequestrati. La posizione di Cecere, che fece anche sapere di volersi togliere la vita, fu subito archiviata.

Per il pm Dotto e il procuratore Francesco Pinto, invece, bisogna tornare a lei per scoprire la verità. La donna aveva conosciuto Soracco a Chiavari a un corso di ballo, poi l’aveva incontrato qualche volta in discoteca. Secondo l’accusa, il commercialista era diventato un’ossessione per una 28enne dal passato difficile e dalla vita non facile. E Nada Cella, che con Soracco condivideva solo il lavoro, un ostacolo. Da qui il presunto delitto, sempre rinnegato dalla Cecere che oggi vive in Piemonte, nel cuneese.

Soracco, invece, per anni indiziato e poi prosciolto, oggi dice che “è un passato che avrei fatto volentieri a meno di rivivere”. Una angoscia che condivide con la madre: “Pretendono che ricordiamo cose di 25 anni fa, impossibile”.

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