Gas, l’Italia con il bombolone: il 15% dei comuni va ancora a Gpl

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ROMA – C’è una Italia che per i consumi di gas non dipende sicuramente dalle forniture dalla Russia. Una Italia lontana dalle aree metropolitane e dalla grandi città. Ma è diffusa in tutta la penisola, per lo più a ridosso delle Alpi o lunga la dorsale appenninica, ma anche nei comuni più piccoli delle zone più ricche del paese. E’ una Italia che viaggia ancora con le bombole a gas, perché non è allacciata ad alcuna rete della metanizzazione.

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Una realtà molto più consistente, nei numeri, di quanto si possa pensare: sono 1.300 i comuni italiani non allacciati alla rete, pari al 15 per cento del totale, con 7 milioni di utenze tra famiglie e imprese. Per cucinare o riscaldarsi, ma anche per alimentare gli impianti delle aziende, devono costantemente rifornirsi di bombole Gpl, il gas da petroli liquefatto, in qualche caso trascritto come gas propano liquido. E’ un errore, ma fino a un certo punto: il propano è uno degli elementi contenuti nella bombola assieme al butano, con tracce di etilene, etano e butilene.

Ha il vantaggio di essere trasportato in vari modi: autocisterna ma anche via treno e via nave. E può così arrivare da vari parte del mondo: sono 18 i paesi da cui provengono le forniture italiane, anche se si concentrano da Algeria, Francia, Libia, Egitto e Stati Uniti. E come ricordano i dati dell’associazione che raccoglie le imprese della filiera, Assogasliquidi-Federchimica, il Gpl non è utilizzato solo da famiglie e imprese ma anche da 2,7 milioni di automobilisti che si riforniscono in oltre 4.500 punti vendita.

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Come detto, il mercato delle “bombole” è diffuso in tutte le regioni, con una clamorosa accezione. In Sardegna, fino a due anni fa, aveva il monopolio totale. Dal 2019, il gruppo Italgas ha iniziato a metanizzare e scavare per la posa dei tubi per la distribuzione locale del gas, mentre sarà il gruppo Snam ad occuparsi di far arrivare la materia prima sull’isola, via nave “liquefatto” (ridotto di volume congelandoli ad altissime temperature) e poi lavorato con due piccoli impianti di rigassificazione uno a nord e uno a sud.

A parte il caso – del tutto particolare – della Sardegna, il settore sta cercando la sua strada all’interno della transizione energetica. Da un lato sa che il gas non scomparirà all’improvviso, ma il percorso di decarbonizzazione impiegherà almeno altri 20-25 anni prima di lasciare spazio alle “energie verdi“. Ma, allo stesso tempo, sta lavorando per avere comunque un futuro, perché accanto alle rinnovabili tradizionali, ci sarà spazio per combustibili “circolari” e “sostenibili”.

Per questo motivo, il settore sta cercando la sua strada per mettersi in scia alle regole europee per la riduzione progressiva delle emissioni. per esempio nello sviluppo dei carburanti bio (il biogpl) e rinnovabili (il gas a basso contenuto di CO2): in questo modo può essere immesso in rete o nelle bombole assieme al metano. In questa prima fase di transizione verso il 2050 – quando la Ue imporrà l’uscita da fossili – il settore potrà sfruttare le infrastrutture esistenti: entro il 2030, la quota di Gpl potrebbe scendere al 60%.

Come dire: in una parte di Italia le bombole si useranno ancora a lungo.

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