Gianrico Carofiglio: “Penelope sono io. E sto tornando”

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La notizia è che non bisognerà attendere molto: Gianrico Carofiglio annuncia che il seguito de La disciplina di Penelope – il romanzo che inaugura domani la collana di Repubblica, Anima Noir – sarà pubblicato all’inizio del prossimo anno e che il 22 luglio, al festival Letterature di Roma, ne leggerà uno stralcio in anteprima. “Solo con Guerrieri mi è capitato di scrivere a distanza così ravvicinata, ma stavolta ho ricevuto tantissime sollecitazioni dai lettori e ho deciso di dare le risposte che mi chiedono”, dice lo scrittore barese, ex magistrato, autore da 600mila copie tradotto in 29 lingue. Dopo l’avvocato Guido Guerrieri e il maresciallo Pietro Fenoglio, adesso è il tempo di Penelope Spada, ex pm milanese, poco più che quarantenne, che ha dovuto lasciare il lavoro per un incidente doloroso che nel primo romanzo resta avvolto nel mistero.

Il secondo volume andrà avanti o indietro nel tempo?
“Sia avanti sia indietro. Sapremo molto di più di lei e soprattutto sapremo quello che le è successo”.

Ne “La disciplina di Penelope” la voce narrante è una prima persona femminile: come ci si è trovato?
“L’idea di una protagonista la coltivavo da un po’. Solo che nella prima versione questa storia era raccontata in terza persona. Poi ho deciso di assumermi qualche piccolo rischio e l’immedesimazione è stata sorprendente. Per costruire l’io narrante ho letto e chiacchierato molto. Ho guardato da un punto di vista femminile”.

Penelope mangia cibo sano e beve troppo, fa sport e fuma: è piena di contraddizioni. Lo siamo tutti?
“La cifra stilistica del personaggio è l’eccesso, il non sapersi controllare. Si capisce che la rabbia ha avuto un ruolo in quello che le è successo, un grumo irrisolto, molto serio e molto doloroso. Cibo, sport, fumo e alcol sono comportamenti compulsivi, come il sesso predatorio. Si percepisce che c’è un problema di senso nella sua vita”.

L’altra protagonista del romanzo è Milano. Da dove è nata l’esigenza di cambiare scenario?
“Da tempo avevo voglia di ambientare qualcosa a Milano, città che amo molto. Penelope, anche se nella scelta del nome non c’entra Ulisse, ha un tono epico e la metropoli più metropoli d’Italia, con la sua dimensione minacciosa, mi sembrava perfetta. In generale a me piace raccontare con pochissimi tratti, lasciando molto spazio all’immaginazione del lettore. In nessuno dei miei romanzi ci sono descrizioni fisiche dei personaggi. Nella scrittura di qualità quello che non c’è conta più di quello che è in pagina”.

Fa molte riscritture?
“Più o meno da quattro a sei. All’inizio butto giù tutto senza curarmi dei dettagli. Nella seconda stesura, che in realtà è la prima, tolgo l’eccesso. Poi comincio a lavorare con gli editor. Il dono della scorrevolezza che molti lettori mi attribuiscono è in realtà il risultato di un percorso molto artificioso e sofferto”.

Ha già in mente tutta la storia quando comincia a scrivere?
“Nel caso del seguito di Penelope sì, tutto è chiarissimo. Ma in genere ho un punto di partenza e uno di arrivo, come in un viaggio. E ho i personaggi che lascio liberi di muoversi. Per me è importante sapere come va a finire perché voglio evitare il rischio che rimangano fili appesi”.

L’anno prossimo saranno vent’anni dalla pubblicazione del suo primo romanzo, “Testimone inconsapevole”. Cos’è cambiato?
“Un mese e mezzo fa Testimone inconsapevole ha raggiunto l’edizione numero 100. Che dire: è cambiato tutto. Non è cambiata la mia cialtroneria”.

Come è venuta fuori la prima storia di Guido Guerrieri?
“Da sempre avevo il desiderio di scrivere, ma pensavo fosse una velleità. Poi c’è stata un’estate pessima, la peggiore della mia vita per molte ragioni e a settembre ho pensato che non avevo scelta. Ho già detto che credo bisognerebbe essere capaci di morire giovani restando vivi. Sono morto giovane come magistrato e conservo per lo più ricordi belli. Quando stava diventando routine, ho avuto la fortuna di salire su un altro treno”.

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