Giorgia Meloni governa o comanda?

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Ne sanno qualcosa gli alleati leghisti e forzisti che, dalle nomine nelle grandi aziende partecipate al blitz sugli extraprofitti delle banche, hanno dovuto obbedir tacendo.

Forza Italia per dire, è stata informata della tassazione degli extra profitti bancari (al netto di possibili aggiustamenti) a cosa fatta, trovandosi nel consiglio dei ministri pre-ferie a ratificare la decisione di Giorgia Meloni e benché Salvini ne vantasse una primogenitura.

La blindatura di Fratelli d’Italia poi, con la consegna delle chiavi del partito alla sorella Arianna, è un altro tassello dello stile Meloni.

La presidente del Consiglio ha semplicemente un piglio decisionista e un tantino autoritario? Fatti del centrodestra: verrebbe da dire. Se non fosse che comandare è una cosa, governare un’altra.

Ora, senza scomodare la democrazia ateniese o Montesquieu per inquadrare la questione, ma restando dalle parti nostre, i dieci mesi di Meloni premier non sono esattamente come li ha raccontati lei stessa sul settimanale di gossip “Chi”, edito da Marina Berlusconi, con il corredo di una suggestiva foto sulle tegole di Montecitorio.

Sono stati scanditi dall’attacco ai magistrati, per dire. Meloni ammise di avere “bollinato” la nota di Palazzo Chigi in cui si accusavano le toghe di svolgere un ruolo di opposizione. I magistrati però non sono d’intralcio a chi governa. Svolgono la loro funzione.

C’è stato uno spoil system della maggioranza Meloni – che, è vero, fa parte del gioco politico – ma con il passo del regolamento di conti. All’Inps, ad esempio: addio a Pasquale Tridico senza il tempo di lasciare consegne. Sostituzioni al centro sperimentale di cinematografia, tra le proteste degli intellettuali e degli studenti.

La destra capeggiata da Meloni ha una tendenza pigliatutto. Che va di pari passo con il bisogno di costruirsi una identità di nuovo conio, lontana dal passato missino e post fascista, depurata dagli eccessi vissuti in Europa in compagnia di Vox e dalle storpiature delle ombre “nere” che ritornano: la “banda di pensionati” alle Fosse Ardeatine, la “sostituzione etnica”, le trame eversive e lo stragismo come un brutto sogno senza colpevoli.

Ma il cuore del comando ha una pietra miliare: è il ridimensionamento dell’indipendenza dell’informazione. L’assalto alla Rai, si è visto. Non è proprio vero che “così fan tutti”. Sempre dipende da come si maneggia il potere: chi comanda lo vuole gestire senza intralci, contraddittorio e critiche. E quando sbaglia o non sa che pesci pigliare, alza la voce così si sente solo la sua.

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