Giovani spenti e sfiduciati, la generazione post Covid tra agorafobia e paura del domani

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ROMA – Invisibili, spenti, sfiduciati. Mai protagonisti, i giovani e giovanissimi italiani sono sempre di meno, contano sempre di meno. E dopo la pandemia guardano con ancora più pessimismo al futuro. Solo il 22% lo immagina migliore, il 40% addirittura peggiore. Ecco la generazione post Covid che mette al primo posto delle preoccupazioni e dei desideri il lavoro che però non c’è o è sottopagato. E così si ingrossa l’esercito di Neet, oramai a quota 3 milioni, al top in Europa: giovani che non studiano (il 12,7% abbandona la scuola), non si formano, non cercano un posto. Sempre più preda di agorafobia, depressione, disturbi dell’alimentazione.

Gli over 65 che non mollano il potere

Un quadro preoccupante, quello fornito dal nuovo Rapporto Censis sulla “Generazione Post Pandemia”, realizzato per il Consiglio nazionale dei giovani, in occasione del suo congresso, e dell’Agenzia nazionale dei giovani. Dopo il Covid, i giovani sognano di vivere in una società più inclusiva (68%) e meritocratica (32%). E invece si sentono sbalzati fuori da una gerarchia di adulti over 65 che non lascia il potere e di cui non si fidano. E da una politica che li tiene sempre fuori dalla porta. Il 77% degli under 24 pensa che ci siano troppi anziani ai vertici delle istituzioni. Il 69% non si sente rappresentato dai partiti. Il 23% rinuncia al voto.

Chi può fugge via all’estero perché “manca una promessa di miglioramento e di benessere”. Chi resta è in preda a “incertezza e ansia”, molti hanno rivisto i progetti di vita dopo la pandemia, alcuni hanno smesso di studiare o hanno perso il lavoro. “Moltissimi si trovano in una situazione di sofferenza fisica e mentale”, dice ancora il Rapporto Censis. Il contesto, dopo due anni di fermo a intermittenza per il Covid, è “completamente cambiato”. E questo “ha ritardato tutti i passaggi alla vita adulta”. La disillusione verso le promesse della politica spegne non solo le lotte per i diritti, ma anche la speranza di un ascensore sociale. Il 72% crede sia finito il tempo in cui i figli stavano meglio dei genitori. E quel che è peggio il 64% pensa che “il lavoro non sia centrale nella vita delle persone e sia solo un modo per garantirsi un reddito”.

La paura di uscire di casa: una generazione esausta

Tutto questo, secondo il Censis, porta a un “disinvestimento dalle leve tradizionali della crescita socio-economica: istruzione, formazione, lavoro”. Il 45% dei giovani dichiara che dopo la pandemia desidera trascorrere a casa più tempo possibile, il 48% ha sviluppato una sorta di agorafobia, una paura a frequentare luoghi affollati, il 47% si percepisce fragile, il 32% si sente solo, quota che sale al 39% tra i giovanissimi, specie se vivono in piccoli Comuni. “Rischiamo di lasciare, ancora, indietro una generazione esausta”, dice Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio nazionale giovani. “Ce n’è abbastanza per comprendere perché i giovani sempre di più scelgono di fuggire all’estero, perché non riescono a mettere su famiglia e fare un figlio. Occorre una concreta promessa di futuro per arginare l’onda d’urto della crisi pandemica. Ne va anche della competitività del Paese”.

Le briciole del Pnrr

Eppure il Pnrr – nato come Next Generation Eu, intitolato cioè alla “prossima generazione” – non solo destina ai giovani appena 235 milioni su 191,5 miliardi (lo 0,12%) con la scusa che Millennials e Generazione Z sono obiettivo trasversale di tutto il Piano. Ma assicura anche “ulteriore debito per le giovani generazioni”, nota il Censis. Non bastano “didattica a distanza, smartworking, videochiamate, e-aperitivi e dating digitale” per vincere impotenza (12,5% dicono di provarla) e rassegnazione (11,5%). Se poi i giovani “faticano a trovare un’occupazione e anche quando la trovano, guadagnano poco, sono sotto inquadrati, non ottengono un riconoscimento dei tanti sforzi fatti”. Giovani in debito di futuro. E anche di ossigeno, asfissiati da un Paese senza progetti.

Neet, Italia da record. Il dato Eurostat

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