Giustizia, presunzione d’innocenza divide la maggioranza. Scontro tra Costa (Azione) e il Pd

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ROMA – Stavolta, sulla giustizia, volano accuse molto grosse che dividono la maggioranza. Ancora una volta lo scontro, nelle commissioni Giustizia sia della Camera che del Senato, matura sul decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza, il principio sancito da una direttiva europea del 2016 che solo adesso l’Italia ha deciso di recepire. Un testo che, da quando è stato presentato ad agosto dal ministero della Giustizia, ha diviso subito i partiti del governo: da una parte tutto il centrodestra favorevole, ma sopratutto Enrico Costa di Azione che a marzo aveva chiesto il recepimento della direttiva europea, dall’altra Pd e M5S. Le pressioni della destra su questo provvedimento sono molto forti, tant’è che giusto ieri l’avvocato genovese di Forza Italia Roberto Cassinelli ha presentato una proposta di legge per scrivere obbligatoriamente in calce alle sentenze di primo e secondo grado che “l’imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitva”, quindi è un presunto innocente, augurandosi anche che la stessa frase vada messa in una targa in tutte le aule dei tribunali accanto alla “legge è uguale per tutti”. Proprio come l’ex Guardasigilli leghista Roberto Castelli impose nel 2001 che fosse aggiunta la scritta “la giustizia è esercitata in nome del popolo italiano”. 

Tant’è. L’argomento è bollente. La rissa dietro l’angolo. E ieri è esplosa quando, nelle due commissioni, si sarebbe dovuti giungere al voto sul decreto legislativo presentato l’8 agosto. Testo che non va in aula, ma torna al governo, il quale può decidere di recepire i suggerimenti delle Camere che però non sono vincolanti.

Comunicazione stampa e stretta sulle procure: parla solo il capo “quando è strettamente necessario” e se c’è “un interesse pubblico”

Che cos’è successo? Premesso che alla fine non si è votato, rinviando tutto alla prossima settimana, sia alla Camera che al Senato i relatori Enrico Costa di Azione e Andrea Ostellari della Lega, che è anche il presidente della commissione, hanno presentato le stesse proposte di modifica, che sono di Costa, e su cui già M5S con Vittorio Ferraresi si era dichiarato fortemente contrario. Mentre il Pd, alla Camera, con Alfredo Bazoli, aveva tentato un possibile compromesso. Perché le richieste di Costa sono durissime rispetto a un testo già discutibile che vieta ai magistrati di dare un nome alle inchieste, limita le conferenze stampa ai soli casi eccezionali “di interesse pubblico”, affida la gestione dell’informazione al solo capo della procura. 

Ma Costa inasprisce ulteriormente le regole. Vieta del tutto le conferenze stampa, impone che vengano eliminati i nomi dei pm che hanno svolto l’indagine, nonché proibisce anche alle forze di polizia qualsiasi possibilità di comunicazione. Della serie “parla solo il capo della procura”. E lo fa quando è strettamente necessario.

Un provvedimento e una linea che viene del tutto bocciata dal costituzionalista Gaetano Azzariti che a Repubblica ha detto “questo è un decreto che va contro la libertà di indagare e di scrivere sui giornali”. 

Presunzione d’innocenza, il costituzionalista Azzariti: “Un decreto che va contro la libertà di indagare e di scrivere sui giornali”

Un’affermazione che fa riflettere l’ex responsabile Giustizia del Pd Walter Verini, oggi tesoriere del partito, che come componente della commissione Giustizia della Camera blocca qualsiasi possibile trattativa con Costa. Così la maggioranza si spacca a Montecitorio. Da una parte con Costa ci sono Forza Italia, la Lega, Fratelli d’Italia, Coraggio Italia, nonché Italia viva. Nettamente contro M5S con l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, con Vittorio Ferraresi ed Eugenio Saitta, che di fatto bloccano i lavori della commissione parlando a raffica. Il presidente della commissione Mario Perantoni di M5S è costretto a interrompere la seduta per evitare un voto che avrebbe mandato in frantumi la maggioranza. Per evitare che si arrivi a una plateale crisi arriva nell’aula della commissione anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà di M5S.

La seduta s’interrompe ma finisce comunque male perché Costa esce dall’aula e in corridoio attacca subito il Pd con parole molto forti. “Il Pd è indecente: sbandiera il principio della presunzione d’innocenza, poi quando si tratta di votare lo affossa”. E ancora: “Io non voglio più avere rapporti con il Pd a nessun livello. Almeno M5S è coerente: è contrario alla presunzione d’innocenza e si batte contro di essa. Nel Pd, invece, sono animati dalla convenienza, e mi hanno detto che avrebbero votato il mio parere solo se era d’accordo anche M5S: questo è opportunismo politico”.

Una frase che irrita la responsabile Giustizia del Pd Anna Rossomando che a stretto giro replica: “Sulla presunzione d’innocenza abbiamo apprezzato l’impostazione data dal governo. Ora però il solito giochino di Costa rischia di demolire i risultati che tutta la maggioranza aveva contribuito a raggiungere e il punto di equilibrio decisamente avanzato trovato dalla ministra Cartabia”.

Ma la lite della Camera si replica pari pari al Senato. Dove a sostenere le tesi di Costa non è solo il leghista Ostellari, ma anche Giuseppe Cucca di Italia viva che litiga con il capogruppo del Pd Franco Mirabelli. Che adesso dice: “Ci hanno di fatto impedito di votare un testo equilibrato che tiene insieme posizioni pur diverse della maggioranza. Rompere l’equilibrio è molto grave, e lo si fa strumentalizzando una direttiva europea che parla d’altro. Siamo di fronte a un caso di protagonismo per creare un asse tra il centrodestra e Italia viva con l’opposizione. Ma così si determina un clima del tutto irresponsabile sulla giustizia”. 

Tappandosi il naso, al Senato, anche l’ex presidente ed ex procuratore Antimafia nonché di Palermo Piero Grasso dice che voterà il decreto. Ma è alla Camera che tra Costa e il Pd finisce ai ferri corti. Da una parte ecco il deputato di Calenda molto aggressivo con i Dem quando dice: “Il Pd aveva una grande occasione e aveva di fronte un bivio tra una scelta liberale e la chiusura pentastellata, ha deciso di schierarsi con Bonafede and company perché il merito non conta più, conta solo non scontentare il partito di Grillo. Per non irritare l’imprescindibile Conte, i Dem calpestano gli stessi principi costituzionali che sbandierano quando conviene loro, quando a essere esposto è qualche loro amico. Un partito senza identità, senza convinzioni, unicamente con convenienze politiche”. 

Inevitabili fulmini e saette, a questo punto, da Verini e Bazoli. Il primo accusa Costa di “voler usare per l’ennesima volta la giustizia come terreno di scontro politico”. Aggiunge un secco “basta” e accusa Costa di “seminare sempre zizzania”. Quando alla direttiva sulla presunzione d’innocenza Verini la definisce “importante” e valuta come “equilibrato” il testo del governo perché “tiene insieme anche il diritto alla libertà di informazione, bene prezioso e sotto attacco, contro ogni forma di spettacolarizzazione, di processi mediatici, ma anche senza bavagli”. Secondo Verini si sarebbe potuto votare, “ma si è puntato ad altro”. Adesso il deputato dem si augura che si torni a “un clima di confronto vero, senza furbizie, zizzanie, rigidità spesso strumentali”.

Sulla stessa linea le parole di Bazoli che considera “opportuno, utile e necessario” il testo del governo perché “introduce nel nostro ordinamento principi e norme che possono evitare gli eccessi di spettacolarizzazione delle indagini e che impongono ai giudici un costume di misura nell’attribuire responsabilità a persone indagate e non condannate”. Secondo il capogruppo Dem in commissione Giustizia della Camera “il governo aveva e ha il sostegno dell’intera maggioranza, anche a costo di alcuni mal di pancia. Ma alzare ancora l’asticella serve solo a mettere in difficoltà la maggioranza stessa e il governo”. A questo punto se ne parla la prossima settimana. Perché, come dice il presidente della commissione Giustizia della Camera Perantoni, “oggi era il caso di evitare una conta che avrebbe spaccato la maggioranza”. 

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