Giustizia, tregua tra Draghi e Conte. Cartabia lavora per cercare l’intesa

Pubblicità
Pubblicità

Quaranta minuti che potrebbero cambiare la storia della riforma della giustizia firmata dalla Guardasigilli Marta Cartabia. Tanto è durato, a palazzo Chigi, l’incontro tra Mario Draghi e Giuseppe Conte, premier in carica ed ex premier. Quest’ultimo nella prima visita nella veste di nuovo presidente di M5S. L’esito è positivo, se è vero che poi nel pomeriggio M5S ha lavorato agli emendamenti che dovranno essere presentati oggi entro le 18. E ciò significa che, senza strappi, da un lato Conte ha confermato la volontà di M5S di stare nel governo, ma dall’altra ha ottenuto il via libera a cambiamenti che eliminino il rischio dell’impunità. Uno spazio di manovra sancito dallo stesso Draghi in una telefonata con Cartabia.

Giustizia, i paletti di Draghi: non si ridiscute tutto. Conte: sarò leale

Tre o quattro modifiche strategiche gestite dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede che, per tutto il pomeriggio, ha riunito i suoi, compresa la sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina. Un obiettivo, fare in modo che la riforma non comprometta l’esito dei processi, sottolineato con insistenza da Conte ancora ieri quando ha detto che M5S è disponibile “a dare un contributo per velocizzare i processi, ma sarà molto vigile nello scongiurare soglie di impunità”. Conte e Bonafede si sono sentiti subito dopo ed è partita una strategia che porterà M5S a gestire la riforma prima con la ministra Cartabia, e poi a Montecitorio nella fase degli emendamenti in commissione Giustizia. Il tutto mentre Matteo Renzi annuncia che oggi alle 11.30 firmerà i referendum sulla giustizia alla sede dei Radicali a Milano, “pensando a Enzo Tortora”.

È sempre più probabile uno slittamento, seppur minimo, di tempi. Perché, come dice il Pd, “non cambia molto se la riforma va in aula il 23 o la settimana dopo”. L’importante è che tutto si chiuda prima di Ferragosto. Adesso, con il via libera di Draghi a ritocchi tecnici, a patto che non stravolgano l’impianto della riforma, l’obiettivo è possibile. Proprio come Draghi ha detto a Cartabia. Un Draghi che per ora ha lasciato da parte l’ipotesi della fiducia sulla riforma. Un passo che ha tranquillizzato M5S. È d’accordo il Pd che, con Enrico Letta, ha dato il primo segnale di apertura alle modifiche. Lo stesso Letta giudica “positivamente” l’incontro tra Conte e Draghi, ribadendo però che “la riforma va approvata rapidamente”. Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rassicura: “M5S continuerà a porsi come una forza politica costruttiva che vuole governare questo Paese”.

Giustizia, Verini: “Per il Pd ok se la legge slitta di qualche giorno ma non oltre Ferragosto”

Ma uscito Conte da palazzo Chigi si è aperto il lungo pomeriggio di febbrili contatti tra M5S e Cartabia. Ma soprattutto M5S ha piazzato i suoi paletti per cambiare la riforma eliminando quelle che proprio Bonafede ha definito “inaccettabili scelte che portano alla fine dei processi e all’impunità”. Il punto fondamentale su cui agire è la durata del processo in Appello e in Cassazione. Se la prescrizione si ferma con il primo grado, come nella riforma di Bonafede, un Appello che dura solo due anni, o al massimo tre per alcuni reati, e una Cassazione che dura un anno, è troppo poco. La soluzione discussa da M5S, e che ieri sera era quella più accreditata, prevede che lo step dei due anni scompaia completamente. Tutti i processi in Appello potrebbero durare tre anni. Ma resta il problema che, secondo i giudici di ogni tendenza, un termine di durata fisso rischia di mandare al macero i processi negli uffici che già oggi hanno un pesante arretrato. Roma, Napoli, Milano, e una buona decina di Corti Appello sono in difficoltà.

Ecco allora la soluzione che i 5Stelle, ma anche il Pd, stanno studiando: eliminare l’elenco dei reati e dare al giudice la possibilità di stabilire quanto deve durare il processo. Oppure prevedere un elenco di reati imprescrittibili, e per i quali non sono possibili dei termini perentori. Ancora, calcolare in modo diverso la data in cui parte il computo per l’Appello. Infine, come sostiene il dem Verini, far slittare l’entrata in vigore di questa parte della riforma in coincidenza con l’aumento dei cancellieri e dei magistrati. Una materia complessa che certo non si può affrontare tra domani e giovedì. Da qui nascerebbe il rinvio dell’aula dal 23 alla prossima settimana.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *