Gli ex terroristi italiani sfilano in aula a Parigi: “Non ci pentiremo mai”

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PARIGI – Si sono svolte oggi nella capitale francese le udienze per i nove italiani ex esponenti di gruppi terroristici armati negli anni di piombo. Davanti alla Chambre de l’Instruction della Corte d’appello è stata notificata loro la richiesta italiana di estradizione. Tutti i convocati erano presenti e tutti hanno risposto “no” alla domanda della Corte: “Lei, oggetto di una richiesta di estradizione da parte della Repubblica italiana, vuole rispondere positivamente?”.

Successivamente sono state elencate le accuse e le condanne da scontare in Italia, e poi a ognuno è stata offerta la possibilità di fare dichiarazioni. Uno ad uno, dal brigatista Sergio Tornaghi, chiamato per primo, a Luigi Alimonti, hanno rilasciato dichiarazioni diverse ma molto simili: dichiarazione di innocenza, eccezioni sulla procedura, elenco delle pene già scontate e delle sentenze in cui la loro estradizione è già stata negata dalla Francia in passato e insistenza sui decenni di vita trascorsa in Francia.

Giorgio Pietrostefani ha sottolineato di voler “ribadire” la propria innocenza. Roberta Cappelli ha ringraziato la Francia per “l’accoglienza” che continua ad assicurare ai condannati degli anni di piombo in Italia. L’ex brigatista Marina Petrella, che dovrebbe scontare l’ergastolo, ha parlato con alcuni giornalisti e ha detto: “Dovrei morire in carcere”. “Stiamo arrivando verso la fine. Stiamo raschiando il fondo del barile. Io ho vissuto tutti questi anni con un grande dolore. Dolore e compassione per le vittime, per tutte le vittime. Per le famiglie coinvolte, compresa la mia”, ha aggiunto: “Da parte mia, ho fatto dieci anni di carcere, fra Italia e Francia. E trenta di esilio, un’espiazione quotidiana che dura tutta la vita, una pena senza sconti e senza grazie. Che ti impedisce di tornare nella tua terra. Anche qui un passaggio nel dolore e nella lacerazione”.

“Noi” ha continuato Petrella, “ci siamo assunti una responsabilità politica collettiva, mentre il compito della giustizia è quello di giudicare e condannare in rapporto alle responsabilità di ognuno. Ci sono state vittime, e ci sono stati tanti compagni che hanno pagato con il carcere, alcuni con l’ergastolo. Queste vittime non sono rimaste impunite, senza memoria”. Ma paragonare, come ha fatto il ministro della Giustizia francese Éric Dupond-Moretti, il sangue degli anni di piombo con la strage del Bataclan è di “incredibile volgarità”: “Uno del Bataclan può essere paragonato a Piazza Fontana, a Brescia, alla stazione di Bologna, a Reggio Calabria. Io sono stata condannata sulla base dell’assunzione di una responsabilità collettiva”.

“Oggi è ancora presto, ma non escludo che arrivi una riflessione su un modo diverso di provare a spiegarsi” ha concluso, e ha detto che parole come pentimento o rimpianto non le vuole sentire: “Queste cose fanno parte della parte spirituale, intima, non ne voglio parlare e non ne parlerò mai. Quello di cui si parla qui è la sfera della vita civile. Io faccio un lavoro socialmente utile, posso fare del bene alla gente, per me è una sorta di riscatto simbolico”.

Jean-Louis Chalanset, uno dei legali degli ex terroristi, ha commentato: “Quando sei in Francia da trent’anni, libero, lavori e vivi normalmente, quando il tuo permesso di soggiorno viene rinnovato, non ti aspetti un tradimento del genere”. Per tutti si entrerà nel vivo dei processi per il mese di giugno.

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