Site icon Notizie italiane in tempo reale!

Gli Imbutini, il formato di pasta nato da una scoperta in un mercatino dell’usato

Un nuovo formato di pasta di semola sta a poco a poco conquistando posto negli scaffali delle botteghe del gusto: gli imbutini, nati a Ozzano dell’Emilia in provincia di Bologna, ora conosciuti in tutta la regione, con l’aspirazione di una diffusione nazionale. Ad averli crearli e brevettati (o meglio, registrati all’Uami, l’agenzia europea per la registrazione di marchi disegni e modelli) è stata Flavia Valentini, che quasi per gioco è riuscita in un’impresa molto meno facile di quanto si possa pensare: non basta infatti dare all’impasto una forma carina per farne un prodotto di successo.

Basti pensare che sono 1238 i nomi delle paste fresche e secche, tra termini dialettali, regionali (alcuni sono termini diversi per indicare lo stesso formato), formati nuovi o ormai desueti, censiti da Franco Mosino nel Vocabolario etimologico della pasta italiana.
È un numero incredibile, specchio della fantasia italica, ma non solo. Le paste non sono nate per caso e se anche lo fossero, sicuramente non sono sopravvissute per caso. Infatti, alcune paste sono uscite dall’uso comune, altre ancora sono un divertissement non radicato nell’ambito delle ricette tradizionali – vedi le racchette – e altre, lanciate più di recente sul mercato non hanno mai conquistato i gusti dei consumatori.

Nel tempo grandi designer si sono confrontati con la sfida di nuovi formati: dalle Marille di Giorgetto Giugiaro per Voiello (1983) alle Mandala di Philippe Starck per il produttore francese Panzani, dai Campotti di Mauro Olivieri per Pastificio dei Campi (2010) alle Cupole di Felicetti ispirate alla cupola di copertura del Mart di Rovereto (2014) firmato dall’architetto svizzero Mario Botta, fino ai Turbini, stampati in 3D, di Andrea Anedda vincitore del contest Smart Pasta di Barilla nel 2017.

Insomma, tutt’altro che facile anche perché il successo è poi dato dalla piena funzionalità, che è data da tre spinte, oltre che la piacevolezza estetica: la possibilità di cuocere in maniera uniforme, la capacità di mantenere la forma in cottura e la capacità di trattenere il condimento.

Quest’ultima caratteristica peraltro è alla base di una bizzarra polemica alzata da un noto gastronomo americano, Dan Pashman, voce del podcast “The Sporkful”, che ha creato un nuovo formato di pasta a suo parere perfetto, contro ciò che definisce i banali e noiosi formati esistenti: “Gli spaghetti sono solo un tubo – sostiene – e dopo qualche morso, è sempre la stessa storia”.
Dopo anni di studio ha creato i Cascatelli (“that means little waterfalls” spiega agli americani) prodotti da Sfoglini Pasta. Si presentano come dei riccioli con ai lati delle balze. In realtà a chi di pasta ne conosce sembrano semplicemente degli spaccatelli incrociati alle mafaldine, o anche delle creste di gallo aperte. Comunque stanno letteralmente andando a ruba.

In Italia è difficile pensare agli spaghetti come formato noioso, ma siamo comunque laici sul provare nuovi formati. E gli imbutini sembrano destinati a un radioso futuro.
Particolare la loro storia, anche perché a crearli è stata non una produttrice di pasta, né una designer, ma un’infermiera. Valentini infatti coordinava i turni delle infermiere all’ospedale locale, ma a un certo punto l’esigenza di assistere i familiari l’ha tenuta molto chiusa in casa.
“Per un lungo periodo – racconta – uno dei miei pochi svaghi era andare a Mercatopoli, un mercatino dell’usato che c’è a Idice un paesino vicino al mio. Amo cercare tra vecchi oggetti perché penso a chi li ha tenuti e usati, ci sono vecchie cose che hanno un’anima”.

Inoltre, Flavia è molto curiosa e ha una spiccata vena artistica. Non a caso fa parte di una famiglia di artisti e sua mamma è Gina Negrini, la scrittrice a cui dobbiamo libri come “Il Sole Nero” e “Il nome sulla Pelle”.
Così quando notò circa 5 anni fa uno strano arnese, una sorta di girella “taglia qualcosa” chiese subito che cosa fosse.
Le dissero che si trattava di un taglia pasta, uno strumento per ritagliare i dischi per fare orecchiette: “Ho sposato un leccese e abbiamo una casetta nel Salento – ricorda – quindi mi sembrò perfetto. Con 8 euro l’ho portato via”.

Il dettaglio delle orecchiette è importante perché spiega come mai un’emiliana abbia deciso di usare semola di grano duro e non farina di grano tenero.
Però, una volta stesa la sfoglia e cominciato a usare il taglia pasta, ecco che si rende subito conto che le dimensioni dei dischetti di pasta erano troppo grandi. Non potevano essere orecchiette. Prova a chiuderli su loro stessi facendo lo stesso movimento dei tortellini e ottiene quella che le sembrava “una specie di cupoletta, come quella dei funghi che si chiamano appunto imbuti o, meglio ancora, il cappello alla Harry Potter anche se non posso dirlo senza il consenso della Rowling” dice.

Comincia a farli spesso, con successo tra familiari e amici. Li prova anche con la farina di grano tenero e di vari colori (al nero di seppia, col rosso di barbabietola ecc.). Cerca su libri e online se esista qualcosa di simile e non trova nulla.
Si appassiona e si rivolge a un’amica che lavora all’ufficio brevetti: “Mi rispose scettica. Con tutti i pastifici che esistono vuoi che non lo abbiano già prodotto?”. Comunque l’amica controlla e gli imbutini non esistevano. Così ha registrato il nome e il disegno.

Ma non le bastava che fosse una produzione casalinga. “Poi per anni ho cercato la possibilità di replicare su scala più grande, qualcuno che mi aiutasse a creare un macchinario. L’obiettivo era farne grandi numeri e in un formato che rendesse ogni pezzo uguale all’altro. Un amico in un garage come Steve Jobs, ha creato un prototipo che poi è diventato un vero macchianrio grazie all’azienda la Cad Project ad Argelato”.

Certo, restano numeri artigianali, la macchina ne produce 70 chili all’ora (nulla in confronto alle aziende anche più piccole), ma un buon inizio. A occuparsi della produzione e commercializzazione adesso è l’Arte della pasta a Minerbio. Si può comprare nelle gastronomie di tutta la provincia, in alcuni supermercati locali e già alcuni cuochi li usano nei loro ristoranti.

Parliamo di pasta fresca, ma anche le prove di essiccazione hanno dato ottimi risultati, influendo poso sui tempi di cottura: 3 minuti per quelli di semola, 4 minuti se la sfoglia è all’uovo, 4 minuti per la pasta essiccata.

La cottura inoltre è ben uniforme, grazie al foro che resta sulla parte stretta in alto dell’imbuto: “l’acqua bollente ci passa in mezzo permettendo di cuocere bene anche la parte interna e di scolarla poi altrettanto bene. Ma a non uscire è invece il condimento. I sughi restano catturati, la cupola fa da cucchiaino”. Via allora con ragù di carne o sughi di pesce, ma anche verdure e formaggi.  

Prossimo passo? “Convincere un grande pastificio a investire per una produzione su larga scala della versione pasta secca”.



Go to Source

Exit mobile version