Gran Bretagna, perché Boris Johnson è sempre più un “falco” sull’Ucraina?

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LONDRA – In questo mese di guerra, c’è un leader occidentale che telefona al presidente ucraino Volodymyr Zelensky praticamente ogni giorno e che sembra esser diventato il più falco di tutti nell’opposizione alla Russia e a Vladimir Putin. Stiamo parlando di Boris Johnson. Che vuole assumere la figura del capo di governo più intransigente nell’opposizione a Mosca. E sul suo ruolo ci sono già tante letture e speculazioni.

Sin dall’inizio, il primo ministro britannico ha sostenuto massicciamente la causa ucraina, con un sostenuto invio di armi letali di difesa (primo fornitore in Europa), soldi e aiuti (oltre 200 milioni di sterline). Eppure, per anni Johnson e il suo partito conservatore sono stati più volte considerati troppo vicini o addirittura finanziati da paperoni o dubbi milionari e oligarchi russi. Ora, invece, la resistenza totale di Kiev è diventata fondamentale per Londra, che, a differenza dei Paesi europei continentali, è meno esposta alla Russia dal punto di vista energetico, così come gli Stati Uniti d’America. Non a caso, Uk e Usa sin dall’inizio sono stati più oltranzisti nell’opposizione e nelle sanzioni a Putin. Anche se a differenza di Biden, Johnson non ha mai detto di auspicare la caduta del presidente russo. Anzi ha sempre categoricamente smentito, come nella sua recente intervista a Repubblica: “Sarebbe controproducente per la causa ucraina”.

Del resto, la caduta di Putin resta al momento un “wishful thinking”, ossia un desiderio recondito ma senza alcun riscontro reale. Non solo perché l’apparato russo è totalmente controllato dal presidente, ma anche perché paradossalmente senza lo zar si finirebbe in “acque inesplorate” in Russia, per quella che resta la più grande potenza nucleare al mondo. Il caos totale al Cremlino potrebbe, per esempio, mettere l’Europa e l’Occidente ancora più a rischio atomico di quanto lo sia ora. Però su una cosa Boris Johnson sembra convinto: bisogna sfruttare il “momentum” dell’esercito ucraino, infliggere una punizione severa a Putin e far sì che l’Ucraina recuperi quanto più terreno sottrattoglie da Mosca in questi anni.

Non a caso, qualche giorno fa il primo ministro britannico, durante un’audizione in Parlamento, ha avvertito gli altri leader europei che potrebbero essere attratti da una pace rapida con Putin: “Credo che dovremo aumentare ancora di più le sanzioni, e che dovranno esserci fino a quando l’ultimo soldato russo non avrà lasciato l’Ucraina”. Allora Tom Tugendhat, deputato conservatore e presidente della Commissione Esteri di Westminster che lo interrogava durante la rituale Liaison Committee in Parlamento, lo ha pressato: “Primo ministro, i russi devono lasciare anche Crimea e Donbass prima di vedere allentate le sanzioni?”. “Sì”, ha risposto il leader, “fino all’ultimo. Un presunto cessate il fuoco non basta di certo”. 

In pratica, Johnson ha posto un limite teoricamente infinito alle sanzioni dell’Occidente contro Mosca. Perché è altamente improbabile che la Russia abbandoni così facilmente il Donbass in Ucraina, per non parlare della Crimea a stragrande maggioranza russofona. Tuttavia, il leader britannico insiste: secondo il Times, Johnson sarebbe facendo forti pressioni su Zelensky per non cedere ad accordicchi che, secondo il primo ministro britannico, potrebbero appoggiare gli alleati europei e gli americani. Il governo tedesco ha seccamente smentito tali “assurdità” e in ogni caso il problema adesso non si pone, perché Russia e Ucraina sono ben lontane da una seria trattativa di pace. Ma fa capire l’escalation dell’impegno del primo ministro britannico per la causa ucraina.

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Ma perché Johnson tiene così fermamente a Kiev, a Zelensky e al futuro dell’Ucraina? Ci sono tante letture di questa sua recente metamorfosi politica. La prima è che Johnson è sempre stato un libertario, il suo risaputo idolo è Winston Churchill e quindi il primo ministro, nella sua testa, potrebbe rivedersi nel predecessore che sconfisse Hitler, in una nuova missione “anti-nazismo”, oggi contro Putin. La seconda è che, prima della guerra in Ucraina, il Regno Unito ha investito moltissimo nel cosiddetto Indopacifico e nella deterrenza contro la Cina: si tratta di uno dei pilastri della Global Britain post Brexit. Una sconfitta in Ucraina o concessioni troppo evidenti alla Russia di Putin (tra l’altro riallineatasi fortemente a Pechino in tempo recenti), secondo Johnson darebbero una pericolosa spinta anche alla Cina in termini di espansioni e mire autoritarie, vedi Taiwan o il caso Hong Kong.

Poi ci sono le speculazioni sul lato personale di Johnson. Che, dopo lo scandalo “Partygate” in patria e le feste proibite durante il lockdown anti Covid, avrebbe bisogno di rifarsi una reputazione. La guerra in Ucraina gli ha certamente ridato quello smalto e quella caratura politica che gli è mancata in patria negli ultimi, affannati mesi. Quando ha rischiato di essere sfiduciato dal suo partito conservatore, che ora però ha serrato i ranghi in suo sostegno, almeno fino a quando durerà la guerra in Ucraina.

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Di qui, c’è chi specula su illazioni, come per esempio l’idea che la guerra in Ucraina, soprattutto se duratura, consolidi il potere e la stabilità politica di Johnson (ma questo avviene con tutti i leader in tempi di guerra, da Biden a Putin). A pensar così male, allora qualche maligno potrebbe dire che un’Europa continentale fiaccata dalla crisi energetica e dalle sanzioni russe (più di Usa e Uk) potrebbe poi non essere così un guaio per il Regno Unito post Brexit. Ma sono solo fantasie, perché la crisi energetica sta creando problemi enormi anche in Gran Bretagna, che pur non è così dipendente dal gas e dal greggio di Putin, a differenza dell’Europa. Una cosa è però certa: Johnson vuole intestarsi sempre di più la gloriosa resistenza ucraina e il destino di Kiev. E forse, in questo momento, sembra davvero il leader mondiale più convinto.

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