Grillo loda Draghi: “Uomo di parola”. E gela i 5S, resta il tetto dei due mandati

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MILANO – Il 2050, la transizione ecologica, il reddito universale, la necessità di “essere curiosi”, su Zoom c’è anche il neo ministro Roberto Cingolani che ha parlato per primo: tutto bello e interessante, poi a un certo punto Beppe Grillo in collegamento coi parlamentari sgancia la bomba e di tutto il resto chi se ne importa. “La regola del tetto dei due mandati deve restare un nostro pilastro”, dice il fondatore e garante dei 5 Stelle.

Un pezzo di assemblea si frega le mani, sono quelli al primo mandato o che possono fregiarsi del bonus del “mandato zero” fatto nelle istituzioni locali e che così aumentano di parecchio le proprie chance di essere rieletti in un Parlamento che oltretutto avrà meno posti in palio; un altro gruppo, composto da nomi di primissimo piano, in pratica quelli che sono un po’ la storia del M5S, piomba nel panico. “Adesso allora sarà il Vietnam vero”, preannuncia uno di loro. Sì perché nelle delicate e complesse dinamiche interne del Movimento, un passaggio del genere può fare più danni ancora dell’appoggio al governo di Mario Draghi. Loda il premier: è stato “un uomo di parola, non è un freddo banchiere senza anima”.

Il quadro 5S è dunque questo: il partito è ormai stato consegnato nelle mani considerate salvifiche di Giuseppe Conte. Attorno alla sua figura si sono raccolti tutti, a partire dall’ex capo assoluto Luigi Di Maio e passando per il reggente in dismissione, Vito Crimi. Restando il limite dei due mandati, la carriera politica di entrambi – solo per fare un esempio, ma la lista è lunga – finirebbe tra due anni. “Non abbandoneremo quelli che finiranno il secondo mandato”, è la garanzia data da Grillo. Cosa possa voler dire non si sa, e certamente non è abbastanza per placare gli animi.

Attorno alla regola ruota il futuro prossimo del Movimento e la piena riuscita o meno del progetto contiano. “La mossa di Beppe può essere vista anche come un tentativo di ricucire con Davide Casaleggio“, tenta di darsi coraggio un altro eletto, anche lui arrivato al secondo mandato. Già, il figlio di Gianroberto, l’altro fondatore. Il quale da tempo, sempre più osteggiato da buona parte del M5S, rivendica l’assoluta importanza di non derogare al principio degli albori, quello che appunto vietava agli attivisti diventati portavoce di diventare dei politici in carriera, così simili ai tanto detestati e vituperati “politicanti”.

Ora la sua voce non è più sola, quindi. La mano tesa del comico potrebbe aiutare a trovare un accordo sulla gestione della piattaforma Rousseau, o perlomeno a chiudere il rapporto senza strascichi giudiziari. Di certo le parole di Grillo sono arrivate come un fulmine a ciel sereno, perché nel dietro le quinte si garantiva che il nuovo statuto del Movimento di Conte avrebbe superato il vecchio totem.

Il rientro a tutto campo di Grillo ha poi toccato altri punti, in realtà non nuovi: la saldatura dell’alleanza con il centrosinistra, lo stop alle partecipazioni nei talk show, il sostegno pieno alla ricandidatura di Virginia Raggi, la stima per il presidente del Consiglio che “non è un banchiere senza sentimenti”. E poi la rinnovata passione ambientalista del fondatore che mette insieme sensibilità diverse: quella manageriale del ministro Cingolani (biodiversità, innalzamento dei mari, energia sono stati il focus del suo intervento) e quella “socialista” di Marco Morosini, professore e nuovo consulente in fatto di comunicazione ed ecologia dei gruppi parlamentari. Ma adesso il verde va in secondo piano: i “miracolati”, come li ha chiamati scherzando ma non troppo il garante, hanno la testa altrove.
 

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