Prevedere la presenza dell’esercito e delle forze dell’ordine, innanzitutto nei presidi ospedalieri a maggior rischio perché in aree più disagiate. E avviare una sperimentazione da estendere poi eventualmente a tutto il territorio nazionale. Non solo: stop ai turni di notte nelle guardie mediche se si lavora da soli, prevedendo accordi con il sistema 118 per l’assistenza notturna. E’ la proposta del presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli: “Questo potrebbe rappresentare un modello efficace per contrastare il fenomeno delle aggressioni contro i medici e i sanitari”. L’intervento arriva a qualche giorno dalla violenza contro una guardia medica in turno notturno a Udine.
Non ci sono condizioni di sicurezza
Oggi, sottolinea Anelli, “ancora troppe postazioni di guardia medica non sono in condizioni di sicurezza ed è necessario intervenire al più presto”. Innanzitutto, è la richiesta del presidente Fnomceo, “bisogna prevedere che il medico di guardia medica non possa rimanere in turno da solo. Inoltre, andrebbero evitati i turni di notte, facendo ad esempio degli accordi con il sistema del 118 per l’assistenza notturna”. Va anche sottolineato, rileva Anelli, che la legge per la prevenzione e il contrasto alle aggressioni di medici e personale sanitario, approvata nel 2020 e che prevede la procedibilità d’ufficio per gli aggressori, “non è ancora molto conosciuta: andrebbe divulgata e comunicata perché proprio la procedibilità d’ufficio potrebbe rappresentare un forte deterrente ai fenomeni di violenza”.
“Il disagio sociale prende di mira i camici bianchi”
Purtroppo, commenta Anelli, “il trend pare indicare che gli episodi di aggressione e violenza contro medici e sanitari stanno tornando al livello di allerta pre-Covid, e questo anche perché il disagio sociale legato alla carenza dei medici si sta accentuando producendo rabbia che si sfoga proprio contro chi è in prima linea negli ospedali”. Un aspetto che non viene spesso valutato infatti, prosegue, è che “l’attività che il medico svolge non è solo di analisi e cura, perché il medico svolge anche un ruolo a tutela della stabilità sociale: nel momento in cui si garantisce una risposta al malato ed il cittadino si sente tranquillo rispetto al proprio diritto all’assistenza, infatti, si determina anche una situazione di stabilità sociale; se, al contrario, il medico non riesce a garantire tale attività, perché troppo oberato o per il numero scarso di professionisti, il disagio aumenta fortemente”. Ma questo, conclude Anelli, “è un tema che non è mai stato valorizzato”.
“Lascerò la professione”
Intanto è ancora molto scossa la vittima dell’aggressione, tanto che sembra ormai aver maturato la sua decisione. “Ci stavo pensando da tempo. Lascerò la professione medica. Questo episodio è stata l’occasione per decidere di fare altro”, ha detto Adelaide Andriani, 28 anni, parlando con il vicegovernatore del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi. Lo ha riferito lo stesso Riccardi al termine di un incontro con Andriani e la collega Giada Aveni, intervenuta in difesa della collega. Il vicegovernatore ha precisato che “prima di tutto le due dottoresse stanno bene. Hanno parlato con noi di quello che è accaduto e di come hanno vissuto questa brutta esperienza”.
Il patto tra gli assessori regionali
A margine del suo incontro con la giovane oggi nel capoluogo friulano, Riccardi ha annunciato l’intenzione degli assessori delle venti regioni italiane di “pronunciarsi con un documento congiunto, chiedendo a governo e parlamento di mettere mano a tutte queste cose”. “Sul personale ci sono delle regole da modificare – ha aggiunto – che tra l’altro non possono essere applicate ugualmente in territori diversi. Va bene avere una linea comune del sistema sanitario nazionale, ma si tratta di avere dei margini di manovra in relazione alle singole esperienze”.
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