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Gucci, i suoi primi cento anni celebrati con ‘Aria’

Già di per sé celebrare un centenario non è proprio cosa di tutti i giorni. Farlo poi durante una pandemia, con tutte le limitazioni – e le paure – del caso, pare un’impresa titanica. Ma Alessandro Michele non è certo uno che si tira indietro: 6 anni fa con la sua prima collezione per Gucci fu capace di annullare lo status quo del marchio regalandogli una nuova giovinezza (che dura ancora oggi, stando alle classifche di gradimento dei consumatori), cambiare il costume una volta per tutte e portare alla ribalta mondiale la discussione sul genderfluid. Uno show celebrativo organizzato in lockdown per lui è ordinaria amministrazione.

In realtà, lo stilista incontrando via Zoom i giornalisti si dice piuttosto provato dalla sua gestazione, però il discorso resta valido: per riuscire a creare un evento in questo momento e con queste limitazioni serviva qualcuno con le idee molto chiare, e una conoscenza del marchio profonda. Uno come lui, che infatti non ha deluso le attese. Aria, la collezione – al singolare, lo stilista rifiuta le divisioni degli abiti in maschili e femminili – del centenario, è una cavalcata lunga e per niente noiosa attraverso la storia del brand, con una serie di deviazioni e “uscite di strada” che non fanno che rafforzare l’immaginario costruito dallo stilista. Certo, resta da vedere da qui dove si andrà, ma come chiusa di questi primi cento anni è molto efficace.

Gucci Aria: la sfilata

È la collezione con la quale Alessandro Michele celebra i 100 anni di Gucci. Si comincia con il celebre tailleur pantalone di velluto rosso con cui Tom Ford nel 1996 rese Gucci un protagonista del costume contemporaneo, e si prosegue attraverso epoche e riferimenti, dai paramenti equestri trasformati in corsetti e fruste un bel po’ fetish – «I Gucci non facevano selle, ma avevano capito che quest’universo affascinava e attirava il pubblico giusto», spiega lo stilista sorridendo – al pizzo impalpabile tanto caro a Michele, dai cappotti d’alta sartoria con le maniche trasformate in mantelle alle borsette a forma di cuore anatomicamente corrette, dal monogramma riprodotto in paillettes per il giorno alle silhouette di Balenciaga. Balenciaga da Gucci? Proprio così.

Il corto, diretto da Floria Sigismondi, mette in scena una sfilata che sconfina nel red carpet hollywoodiano, che sconfina negli attimi prima di una festa. I modelli varcano la soglia del Savoy Hotel (l’albergo di Londra dove leggenda vuole il fondatore Guccio Gucci avesse lavorato da giovanissimo), sfilano davanti ai fotografi seguiti da luci e flash, si ritirano in un corridoio buio in attesa che si spalanchino le porte per accedere al party che, si scopre alla fine, svolgersi in una specie di giardino incantato. Un concetto stranamente semplice, se si pensa che la scorsa presentazione era stata una serie televisiva a puntate diretta da Gus Van Sant con Harry Styles e Billie Eilish. «Lo so bene», conferma Michele nella conferenza stampa via Zoom. «Quello che ho fatto con le operazioni precedenti è stato ricontestualizzare la moda, spostando l’attenzione da essa. Un’operazione, per chi è abituato ai modi “canonici” di vederla, inconcepibile e incomprensibile. Però stavolta avevo bisogno che la collezione facesse breccia come un proiettile, e per essere sicuro che fosse così ho usato il linguaggio universalmente abbinato a certi momenti: dunque, la passerella».

Alessandro Michele 

In effetti, qui c’è talmente tanta carne al fuoco che qualunque forma alternativa di presentazione ne avrebbe annacquato l’effetto. Si comincia con il celebre tailleur pantalone di velluto rosso con cui Tom Ford nel 1996 rese Gucci un protagonista del costume contemporaneo, e si prosegue attraverso epoche e riferimenti, dai paramenti equestri trasformati in corsetti e fruste un bel po’ fetish – «I Gucci non facevano selle, ma avevano capito che quest’universo affascinava e attirava il pubblico giusto», spiega lo stilista sorridendo – al pizzo impalpabile tanto caro a Michele, dai cappotti d’alta sartoria con le maniche trasformate in mantelle alle borsette a forma di cuore anatomicamente corrette, dal monogramma riprodotto in paillettes per il giorno alle silhouette di Balenciaga. Balenciaga da Gucci? Proprio così.

La borsa a forma di cuore 

«Ho cercato di lavorare su forme molto precise e molto nette, e nel mio costante “saccheggio” di suggestioni e immaginari, mi è venuto naturale pensare alle costruzioni di Cristobal. Però piuttosto che fare da solo, ho preferito chiedere direttamente a Demna (Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga, ndr). Io c’ero alla sua prima sfilata, e mi pareva giusto rievocare quell’episodio. Così nel corso di una serie di telefonate tra Roma e Zurigo, dove lui vive, è nato il progetto. Demna mi ha passato alcuni dei cartamodelli simbolo del suo lavoro, e io da lì sono partito».

Non c’è dubbio che sarà quest’insolita accoppiata a far parlare di più (entrambi i brand sono di Kering), perlomeno in un primo momento, il che onestamente è un peccato. Perché riuscire a dare vita a una collezione così ricca, così densa di riferimenti e allo stesso tempo così misurata – relativamente, si parla pur sempre di Alessandro Michele – non è per niente scontato. «Credo che per me sia stato fondamentale non avere sulle spalle il peso di un’eredità stilistica ingombrante come certe maison francesi; allo stesso tempo però Gucci ha una popolarità e una forza di attrazione nei confronti del pubblico che rende famoso chiunque ne maneggi l’universo: il primo a capirlo è stato Tom Ford, e aveva ragione». Michele sa bene di cosa parla: lui è un uomo Gucci da 18 anni; è stato Tom Ford a volerlo lì, dunque i suoi racconti sono di prima mano. 

Moda

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A chi gli chiede se la pandemia ha influenzato il suo lavoro, lui risponde senza esitare: «Certo che sì. I cento anni di Gucci sono coincisi con un evento che per me è paragonabile a una specie di terza guerra mondiale; non tanto negli eventi, quanto nel come ha modificato per sempre le nostre vite. Onestamente non so cos’avrei fatto altrimenti. Pure il finale, con i modelli immersi nella natura, è legato al momento che viviamo: credo che ora per andare avanti si debba ripartire dalla natura, con uno spirito diverso. Altrimenti mi sa che non andremo lontano».



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