Guerra in Ucraina: è crisi per l’importazione di mais e grano no Ogm

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La guerra in Ucraina sta mettendo in difficoltà la filiera agroalimentare del nostro Paese. Nuovi aspetti emergono però con il passare dei giorni. Adesso l’attenzione è sulle importazioni di grano e mais no-Ogm da Ucraina e Russia che rischiano di assottigliarsi a causa della crisi in corso. Si tratta di produzioni che vengono utilizzate dall’industria alimentare, ma che sono impiegate anche negli allevamenti attraverso i mangimi che consumano gli animali. È il caso delle realtà che producono latte e derivati, uova e carni di vario genere. In alcuni casi, le scorte delle aziende di grano e mais senza Ogm sono arrivate al limite. Il rischio è di dover rinunciare alle produzioni non geneticamente modificate e quindi al latte no-Ogm o alle uova da galline che hanno mangiato solo mais non modificato e tradizionale.

Il settore zootecnico del nostro Paese che utilizza prevalentemente il mais è dipendente per circa il 20% dalle importazioni dall’Ucraina – spiega Stefano Forbicini, dirigente settore sementi e concimi di Cai -. La crisi in corso potrebbe far sì che occorra rivolgersi agli altri produttori in Europa, in primis Francia e Germania che sono esportatori di mais e anche di grano tenero”. L’ipotesi è anche che aziende e produttori si trovino costretti a far ricorso a produzioni Ogm come quelle che arrivano dal Nord America e dall’Argentina. Il grano e il mais Ogm non sono vietati in zootecnia. Tuttavia molte realtà di eccellenza del nostro Paese, negli ultimi anni hanno puntato molto su mangimi Ogm free per valorizzare i propri prodotti. È il caso, per fare un esempio, di alcuni produttori di Grana Padano o di Parmigiano Reggiano. La scelta di evitare produzioni geneticamente manipolate ha ripagato perché il mercato ha riconosciuto questo plus. Ora potrebbe arrivare un passo indietro.

La carenza di grano e mai no ogm impatta non solo sul consumatore finale di quel determinato prodotto ma su tutta la filiera agroalimentare, per quanto concerne i mangimi. Ma l'Italia ne produce troppo pochi. (in foto Mais biancoperla, presidio Slow Food)

La carenza di grano e mai no ogm impatta non solo sul consumatore finale di quel determinato prodotto ma su tutta la filiera agroalimentare, per quanto concerne i mangimi. Ma l’Italia ne produce troppo pochi. (in foto Mais biancoperla, presidio Slow Food) 

Difficile fare previsioni ed è prematuro cercare di capire che cosa potrebbe davvero accadere. Gli occhi sono puntati soprattutto sull’autunno. “È in ottobre che potrebbe verificarsi le carenze per effetto dei mancati raccolti in Ucraina e del mancato export dalla Russia – dice Ivano Vacondio, presidente di Federalimentari -. Probabilmente le aziende che hanno posto valore sui mangimi no-Ogm dovranno rifornirsi a prezzi più alti”. Il rischio è che i costi più elevati finiscano per pesare sui consumatori finali. 

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Come uscirne? “Sicuramente l’Italia dispone di un gran numero di terrenti che potrebbe coltivare e che negli ultimi anni sono stati abbandonati per la scarsa redditività dei prodotti agricoli – spiega Stefano Forbicini -. È il caso, per fare solo alcuni esempi, delle prime colline emiliane e di molte aree del centro Italia. Questi terreni possono essere rimessi a coltura”. Ci sono però anche altri canali da attivare. “Uno di questi riguarda le nuove tecnologie che utilizza oggi l’agricoltura di precisione – dice Forbicini –. Si tratta di soluzioni che sono già disponibili ma che sono ancora poco utilizzate e che, per esempio, permettono di risparmiare il 20-25% dei concimi da impiegare nelle coltivazioni. Infine l’esperto ricorda che in questo contesto L’Europa deve essere coesa e deve cercare di utilizzare al massimo gli scambi a livello comunitario. In modo da affrontare insieme e uniti, le sfide che attendono il settore”. Intanto i prezzi di mais sono in continua ascesa. In questi giorni le quotazioni sono arrivate a toccare i 42 euro al quintale sulla piazza di Bologna. Un anno fa questo valore era meno della metà, a circa 20 circa. 

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