Hanno tutti ragione | I nomi per il dopo Zingaretti, ma stavolta il Pd non salverà la pelle con un accordo tra le correnti

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Zingaretti può ancora tornare indietro sulla dimissioni da segretario del Partito democratico? Una possibilità, seppure minima, c’è ancora. Lo chiedono molti suoi sostenitori, invocando una stretta sulle correnti. Lo chiedono anche molti suoi avversari, che temono il dibattito interno precipiti nel caos in una situazione acefala. Un fatto è certo: a dispetto di quanto sostenuto da molti retroscena e dietrologi, la mossa di Zingaretti non nasce come espediente tattico bensì da una reale esasperazione per la conflittualità e per gli attacchi subiti nelle ultime settimane. Quindi, al momento, non c’è motivo di pensare che l’irreversibilità delle dimissioni, ribadita oggi, sia uno schermo di intenzioni diverse.

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Cosa può accadere ora, è difficile dire. La soluzione più probabile resta la nomina di un nuovo segretario in Assemblea nazionale il 13 e 14 marzo. Un traghettatore verso il congresso. Un’ipotesi è che tocchi ad Andrea Orlando. È il vicesegretario e già due volte (Dario Franceschini dopo Walter Veltroni, Maurizio Martina dopo Matteo Renzi) è toccato al numero due assumere la guida del partito dopo il traumatico passo indietro del leader: in entrambi i casi il “reggente” si è poi candidato senza successo alle primarie.

Proprio questo è il punto debole di Orlando, che può legittimamente coltivare ambizioni di segreteria e per questo è giudicato da una parte della minoranza poco super partes per gestire un momento del genere. C’è poi il problema del doppio ruolo: Orlando è entrato nel governo Draghi e l’incarico ha già suscitato polemiche nel partito per il mantenimento anche della carica di vicesegretario.

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D’altra parte, Orlando ha un profilo e una esperienza adatti a un momento così difficile: anche una parte della corrente ex renziana sa bene che sarebbe un rischio notevole per il Pd affidarsi a una reggenza meno ingombrante ma quindi anche meno autorevole, col rischio di affrontare male le amministrative di autunno e arrivare in grande difficoltà a scadenze come l’elezione del presidente della Repubblica e le politiche del 2023. Questo è appunto l’handicap principale di Roberta Pinotti, ex ministra della Difesa, solido curriculum e possibile punto di equilibrio tra le correnti: la poca consuetudine con le trappole e le responsabilità della leadership ne limita le chance.

Pinotti è espressione della corrente Franceschini. Quella tra Franceschini e Orlando, in teoria entrambi componenti della maggioranza che sosteneva Zingaretti, è la nuova strisciante competizione aperta tra le correnti. Una possibilità è che il compromesso tra i due ministri, che di fatto si contendono il ruolo virtuale di capodelegazione dem nel governo Draghi, si raggiunga su un nome terzo, che magari abbia un’immagine da padre, o madre, nobile del partito. Più avanti toccherebbe ai candidati veri, in testa Stefano Bonaccini, lo stesso Orlando. Ma mai come stavolta è chiaro che il Pd, in Assemblea come al congresso, non uscirà dall’angolo con un semplice accordo di nomenclatura.

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