Hanno tutti ragione | Tassa di successione, Letta segue Einaudi e passa per Lenin

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Il più grave difetto del Partito democratico è che è nato in controtempo. Era il figlio naturale del centrosinistra degli anni Novanta, della crescita come dato naturale, della globalizzazione come volano dell’economia e delle opportunità, del conflitto sopito e persino negato (“siamo il partito di tutti”), della Terza via blairiana e del Neue Mitte tedesco, la spesa pubblica demonizzata, l’intervento statale in economia esecrato. In più, particolare tutto italiano, è nato con il fattore K ancora radioattivo e una sinistra postcomunista ansiosa di legittimazione, dunque con un’attitudine conservatrice nei confronti dell’establishment e dei rapporti sociali. Nel 2007 il Pd viene fondato su queste basi e nel 2008 comincia una crisi planetaria che, con fasi diverse e l’acme della pandemia, in un decennio ha completamente cambiato le coordinate dell’economia e della politica. In pratica, è stato come aprire un ristorante o un cinema a marzo 2020.

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Nonostante alcuni tentativi di risintonizzarsi con il tempo presente, il Pd ha continuato a soffrire di un problema grave per una sinistra riformista di governo, al pari di altre forze analoghe in Europa: poco popolo e un mercato elettorale prosciugato dai populisti. Ha continuato a intercettare un solido voto di opinione, anche grazie al tema dei diritti, gode di buon consenso nelle aree metropolitane più sviluppate ma ha smesso di essere una opzione per larghe fasce di popolazione.

È in questa tendenza di lungo corso che Enrico Letta ha proposto ieri l’introduzione di una dote per i diciottenni da finanziare con una nuova aliquota sulle tasse di successione sui patrimoni ingenti. Non l’avesse fatto. Mario Draghi l’ha bocciata. Da molti commentatori, sarcasmo e risatine. Dal suo partito si sono levate poche voci favorevoli. Molti, pubblicamente o a microfoni spenti, hanno spiegato che questa idea schiacciava di nuovo il Pd sull’immagine del partito delle tasse, come fossimo ancora nei Novanta e ai teatrini di Silvio Berlusconi su Dracula Visco. Già la proposta di una patrimoniale avanzata da alcuni esponenti dem e di Leu nei mesi scorsi aveva provocato reazioni simili.

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Si tratta, invece, della prima seria proposta di redistribuzione avanzata dal Pd dacché è nato. Perfettibile, parziale, da accompagnare ad altre e coerenti misure, ma capace di prendere una direzione su un tema molto chiacchierato e poco praticato: la lotta alle disuguaglianze. Che – ormai occorre dirlo per evitare di incorrere in caricature – non è la rincorsa al collettivismo ma il tentativo di compensare gli squilibri di una economia che cannibalizza le classi medie e basse e concentra ricchezze sempre più sterminate nelle mani di pochi.

Il mese scorso Joe Biden, un democrat tutt’altro che radical, ha proposto l’introduzione di una global tax che impedisca ai colossi di prelevare profitti dai Paesi versando imposte irrisorie, paragonabili a quelle di un buon esercizio commerciale a conduzione familiare. La proposta di Biden è stata bene accolta negli Usa. Quella di Letta, ben più limitata, è stata invece considerata un rigurgito di sovietismo sebbene il valore cruciale delle tasse di successione per la creazione di una più equa competizione alla partenza sia un tema classico del filone economista liberale e uno dei più accesi sostenitori di questa tassa era il nostro Luigi Einaudi. Se il Pd si lascerà intimidire dalle reazioni, è difficile ci sia una grande futuro per la sinistra di governo.

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