“Ho un tumore al seno ma sono ottimista”. La scienziata-paziente chiamata da Biden a combattere il cancro

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“Ho appena ricevuto una diagnosi di cancro al seno. La prognosi è molto favorevole. Sono grata di aver avuto accesso a uno screening e averlo scoperto presto”. Il messaggio su Twitter lo scorso dicembre era affiancato dalla foto di una donna sorridente. L’ottimismo di Monica Bertagnolli, d’altra parte, non era infondato. Questa solare 64enne americana di origini in parte italiane e in parte francesi era appena stata nominata (prima donna della storia) direttrice dei National Cancer Institutes (Nci): il centro di ricerca americano dedicato ai tumori, un gigantesco laboratorio da 7 miliardi di budget all’anno, 50 volte la spesa pubblica italiana.  

Oggi, dopo operazione, chemio e radioterapia, Bertagnolli non è più alla guida dei Nci. Ma se il suo incarico è durato solo sei mesi non è stata colpa del tumore. Il presidente americano Joe Biden ora vuole questa chirurga capace di vedere il bicchiere mezzo pieno alla guida dell’intera ricerca biomedica americana. Se il Senato approverà la sua nomina, lei diventerà direttrice dei National Institutes of Health (Nih, seconda donna nella storia). Il budget che dovrà gestire farà un salto a 47 miliardi: il più vasto al mondo nel campo della ricerca. Gli istituti che dovrà coordinare saranno 27, incluso il Nci che ha appena lasciato.

La nuova sfida arriva in un momento in cui la battaglia contro il tumore non è ancora vinta. Un figlio quasi trentenne con l’autismo viene descritto come “una gioia e una sfida quotidiana”. Né l’incertezza che accomuna molte persone con il cancro la lascia immune: “Sono in un periodo di attesa e ci sono cose che non conosciamo” ha ammesso ai colleghi del Nci quando ha reso pubblica la sua diagnosi. Ma avendoli vissuti da dentro, la scienziata conosce anche i progressi fatti contro la malattia: “Tutte le persone con il cancro devono sapere che non sono sole”. In questo, ha aggiunto su Twitter, “io oggi sono sinceramente con voi”.

Da chirurga specializzata in cancro del colon – ancora una volta fra le prime donne – Bertagnolli una volta ha rimosso un tumore grande come un pallone con cui altri colleghi non si erano voluti cimentare. Da ragazza cresciuta in un ranch del Wyoming ha domato mandrie e riparato staccionate. Ancora oggi, quando ha bisogno di staccare, racconta di voler ritornare nella fattoria di famiglia. Spesso la si vedeva camminare lungo i corridoi dei reparti di vari ospedali di Boston o delle aule di Harvard con gli stivali da cowboy. “Oggi dovrò rallentare un po’” ha ammesso. “Non è una passeggiata nel parco” la cita Nature in un’intervista. “Ma anche questa è un’esperienza e io so di far parte di una squadra”. La sua prima mossa, dopo la diagnosi, è stata arruolarsi in una sperimentazione: “Sono felice che la mia esperienza possa contribuire ad allargare le conoscenze sul cancro e migliorare le cure”.

Il primo ostacolo per Bertagnolli, dopo la nomina fatta da Biden, sarà l’audizione in Senato nei prossimi giorni. I Nih sono finiti al centro delle accuse per la gestione della pandemia. Una parte dei repubblicani non rinuncia a calcare la mano sull’ipotesi della fuga del coronavirus da un laboratorio di Wuhan, ricordando gli studi condotti insieme agli scienziati dei National Institutes of Health. Da chirurga e scienziata la neodirettrice dovrà trasformarsi anche in politica e in abile raccoglitrice di fondi.

Ma non sarà quella la sfida più difficile. Nell’affidarle la guida dei Nci, sei mesi fa, Biden (che nel 2015 ha perso un figlio per un cancro del cervello) le ha passato il testimone dell’ambizioso progetto “Cancer Moonshot”, lanciato dalla Casa Bianca l’anno scorso: dimezzare le 600mila morti annue per cancro degli Usa entro 25 anni. Ma il passo, ha ammesso Bertagnolli in un congresso a Orlando a metà aprile, non è ancora quello giusto.

La mortalità per tumore cala, ma non rapidamente come si vorrebbe. Infilandosi gli stivali, la scienziata ha visitato aree rurali, luoghi sperduti, riserve indiane e quartieri poveri delle grandi metropoli per toccare con mano (pubblicando anche un articolo scientifico), quella che è la vera tara del sistema di cura americano: la disparità fra chi come lei ha potuto effettuare una mammografia in tempi rapidi e chi vive a decine di miglia dal più vicino ospedale. “Fare ciò che facciamo oggi non è sufficiente” ha detto. “Abbiamo bisogno di molto di più se vogliamo coprire l’ultimo miglio”.

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