I cani diagnosticano il Covid: primo test in Italia al Campus Biomedico di Roma

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Non solo infermieri bardati di tutto punto. Chi andrà al drive in del Campus Biomedico di Roma troverà anche sei cani scodinzolanti. Accarezzarli non sarà possibile, però. Gli animali sono lì per lavoro. Se il loro olfatto darà buona prova di sé, potranno presto alleggerire il lavoro di medici, tecnici e infermieri che si dedicano alla diagnosi del Covid. Sia i tamponi che il sudore delle persone che transitano al drive in verranno sottoposti al loro olfatto. Dopo un periodo di addestramento di circa sei settimane – se i dati saranno buoni – potrebbero essere usati in aeroporti o altri luoghi affollati per identificare i potenziali contagiati.

L’aiuto dei cani con il coronavirus si è già dimostrato prezioso agli aeroporti di Helsinki e di Beirut, con percentuali di riconoscimenti dei casi positivi superiori all’83%. Entro la settimana la sperimentazione – prima in Italia – partirà nel Campus a sud di Roma. “I cani vengono già da tempo usati per riconoscere diverse malattie, come cancro del polmone, del seno e malaria”, spiega Massimo Ciccozzi, che lì insegna Statistica medica ed epidemiologia. “Ma in passato hanno dimostrato di saper diagnosticare anche alcune infezioni. Quel che vogliamo verificare oggi è se il Covid rientra fra queste”.

Si parte fra pochi giorni. Un container accanto al drive in ospiterà i cani della società Ngs e i loro conduttori. “Inizieremo con tre esemplari, poi ne porteremo altri tre” spiega Luigi Cola, amministratore delegato di Stargate Security, la società di Roma che collabora alla sperimentazione avviata con Ngs. “Sono pastori tedeschi, olandesi e belgi specializzati in droga o esplosivi. E’ la prima volta che si cimentano con una malattia, ma sono selezionati per le capacità olfattive. Abbiamo molta fiducia in loro”. Annuseranno sia il tampone che un fazzoletto passato sotto l’ascella delle persone che transitano al drive in (ovviamente se consenzienti), poi la loro diagnosi verrà messa a confronto con i risultati del laboratorio.

I cani più bravi, fra un paio di mesi, potrebbero essere promossi e diventare esperti in rilevazione del Covid in contesti affollati e senza la controprova del laboratorio. “A differenza dei cani da difesa – spiega Cola – quelli da olfatto hanno un carattere più mite. Sanno di avere a che fare con materiali potenzialmente pericolosi e sono abituati a muoversi con delicatezza. Quando li usiamo in mezzo alla gente, finiscono sommersi dalle carezze”. Al drive in, per il momento, annuseranno il tampone e il fazzoletto con il sudore, ma a debita distanza, con i loro accompagnatori bardati come i medici e gli infermieri che manipolano le provette.

Se gli uomini hanno nel naso 5 milioni di recettori olfattivi, i cani arrivano a 300 milioni. In caso di malattia, il nostro organismo rilascia dei composti organici volatili che potrebbero essere percepiti dagli animali. Le università di Hannover e Amburgo, alcuni mesi fa, hanno sottoposto ai cani dei campioni di saliva, con una percentuale di riconoscimento dei casi positivi di Covid del 94%. All’aeroporto di Beirut il loro olfatto ha riconosciuto 158 casi su 1.680 passeggeri. Tutti i positivi sono stati confermati dal tampone tradizionale. A Roma si proverà poi a replicare l’abilità dei cani anche usando dei sensori artificiali: una sorta di naso elettronico costruito dalla facoltà di ingegneria del Campus stesso. Vedremo così se i nostri strumenti sono in grado di uguagliare le capacità degli animali.

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