I diritti nelle vite di tutti. Pietro Turano: “La politica non ascolta, la vorrei al mio workshop a RepIdee”

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“Se potessi invitare qualcuno ad ascoltare la mia Town Hall chiederei al presidente del Consiglio di partecipare. È importante che chi ha un ruolo di rappresentanza del genere possa stare in mezzo alle persone e ascoltare, senza il bisogno di parlare. Troppo spesso la politica presenzia, parla e non ascolta. Ogni tanto sarebbe bello se lo facessero”.

Pietro Turano, classe 1996, è portavoce del Gay Center e consigliere Arcigay nazionale, il 17 giugno sarà protagonista di uno dei workshop di Repubblica delle Idee 2022 alla Sala degli Atti di Bologna. 

Qualsiasi cantiere sul futuro dovrebbe partire da un’analisi del presente, qual è lo stato dei diritti oggi in Italia?
Grazie alla Gay Help Line, il numero verde gratuito dei servizi di Roma Capitale al quale è possibile inviare segnalazioni e richieste di supporto, possiamo fotografare la situazione dell’omofobia in Italia. Ma non basta una linea verde, serve una legge che permetta di analizzare il problema, quanto sia specifico e come si declina nella realtà. Ignorarlo, facendo rientrare tutto sotto il grande cappello della violenza senza accorgersi che ci sono delle matrici dietro, significa non comprendere il problema. Il quadro è grave: il 42% delle violenze avviene in famiglia, il 35% dei lavoratori subisce discriminazioni. L’Italia è al 33esimo posto su 49 Paesi europei per la tutela dei diritti delle persone Lgbt+. 

Pietro Turano

Pietro Turano 

La legge sull’omofobia continua a essere l’urgenza per il futuro?
È importantissima ma lo era anche trenta anni fa, l’Italia è indietro di trenta anni su questa materia. La cosa drammatica è che la politica è molto più indietro del Paese. Con l’affossamento del disegno di legge Zan sotto gli applausi del Senato lo abbiamo visto: mentre il Paese da due anni chiedeva in settanta piazze italiane quella legge, in Aula la respingevano con un applauso. Potersi confrontare con le persone in maniera orizzontale come sarà a Repubblica delle Idee con la Town Hall significa creare un discorso alla pari con le persone, partecipare, per non rischiare – anche noi che facciamo attivismo – di rimanere chiusi a interloquire con le istituzioni. Bisogna rimanere legati alle domande che tutto il Paese si fa e alle risposte che il Paese cerca.

Il referendum che si è appena tenuto è stato un fallimento, mentre i quesiti che stavano più a cuore agli italiani, (considerati i numeri delle raccolte firme) ovvero quello sul fine vita e quello sulla cannabis, sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale.
È un’altra prova della distanza tra politica e società civile. Una distanza che crea dispiacere. Nel momento in cui un Paese si ritrova nelle piazze per chiedere dei referendum, che è un diritto costituzionale, per esprimersi in maniera diretta con uno strumento che è meraviglioso, queste richieste vengono continuamente ignorate. Dall’altra parte abbiamo visto l’organizzazione di un referendum per cui la maggior parte delle persone non capiva neanche di cosa si stesse parlando. C’è mancanza di comunicazione. Ci sono due referendum almeno che sono stati chiesti con più delle firme necessarie eppure ne parliamo ancora tra pochi.

Nel mondo Lgbt+ ci sono temi che sono stati proposti per un referendum?
Recentemente è stata lanciata una raccolta firme per un referendum sul matrimonio egualitario, in Italia i referendum sono abrogativi e quindi non si può proporre qualcosa che non è previsto. Quel referendum era uno stimolo per chiedere la cancellazione di alcune parole ed elementi della legge sulle unioni civili così da equiparla al matrimonio. Si sarebbe spinta la politica a constatare l’esistenza di due istituti identici con la speranza di renderli la stessa. È un processo complicato, non dovrebbe passare per un referendum ma da una proposta di legge sul matrimonio egualitario. Peccato che anche questa è un’altra di quelle richieste che vengono fatte da trenta anni.

Si è appena concluso il Roma Pride, al quale La Repubblica ha partecipato come primo quotidiano italiano a scendere in piazza per i diritti. Come è stato questo Pride?
Bello e partecipato ma la cosa più bella è che c’è un’onda Pride che dura da giugno fino a settembre. Ogni anno i Pride crescono soprattutto nelle piccole province e solo nel Lazio ne faremo due nelle prossime settimane: il 25 ad Albano e il 9 luglio a Viterbo. Anche questa è una risposta all’immobilismo della politica, è un’onda che travolge tutto il Paese per tre mesi e mezzo.

Alla sua Town Hall si parlerà anche di questo?
Il primo punto è capire insieme di che cosa parliamo quando parliamo di diritti e farlo con un approccio intersezionale, ovvero capire che parlare di diritti significa affrontare le vite di tutti e tutte noi e che le nostre identità sono un incrocio di pezzi, non una singola cosa facilmente identificabile. Partiremo dalla questione dei diritti Lgbt+ ma con l’idea di aprire ancora di più la domanda facendo lavorare le persone sulla propria vita e chiedendo loro di mescolarsi su temi che conoscono meno. Ci sarà uno scambio, con la richiesta di mettersi nei panni di altre persone. Parleremo anche delle leggi che ci servono; del linguaggio – essendo un festival organizzato da un giornale – per capire quali parole usare per portare avanti le nostre battaglie e a che punto siamo nell’informazione e nella comunicazione. Con me ci sarà Gabriele Segre, un attivista esperto sia di Lgbt+ che contro l’abilismo che lavora da tempo su questi laboratori alla pari.

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