I farmaci contro l’ipertensione aiutano la memoria

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Che l’ipertensione sia una minaccia per la salute, aumentando il rischio di infarto o ictus cerebrale oltre che di problemi ai reni, è risaputo. E si sa anche che quando la pressione viene riportata nel tempo a valori accettabili, sia con stili di vita adeguati sia anche e soprattutto con i farmaci prescritti dal medico quando necessari, è altrettanto noto. Basti pensare che, stando ai risultati dello studio Sprint Mind, il trattamento corretto dell’ipertensione riduce di circa un quinto l’occorrenza di decadimento cognitivo negli adulti.

Ora però una metanalisi, cioè una rilettura critica di una serie di studi clinici, pubblicata su Hypertension, aggiunge un nuovo tassello sulla tematica. Alcuni farmaci, in particolare quelli che fanno parte della famiglia degli Ace-inibitori e degli inibitori dell’angiotensina-2 sarebbero in grado di influire più significativamente sulle prestazioni cognitive, memoria compresa, grazie alla loro capacità di oltrepassare quella sorta di “dogana” tra sangue e sistema nervoso che si chiama barriera ematoencefalica. Lo studio, coordinato da Daniel A. Nation, dell’Institute for Memory Impairments and Neurological Disorders dell’Università della California a Irvine, ha preso in esame diverse classi di terapie antipertensive, come appunto gli ace-inibitori, i bloccanti del recettore dell’angiotensina II, i calcioantagonisti e i diuretici.

L’analisi ha preso in esame 14 diverse ricerche cliniche su poco meno di 13.000 persone over-50 in diversi Paesi del mondo, arrivando a valutare che i farmaci in grado di oltrepassare la “barriera” tra sangue e sistema nervoso potrebbero avere negli anziani un effetto più spiccato sul fronte della conservazione della memoria, nei controlli a tre anni, anche in presenza di un rischio cardiovascolare più elevato. Si tratta di un’importante verifica, secondo gli esperti americani, sul ruolo della protezione specifica di alcuni antipertensivi sul declino cognitivo. Diversi sono stati gli aspetti considerati nei vari studi, dall’attenzione, fino alle capacità di linguaggio e di apprendimento, oltre ovviamente alle possibilità di conservare i ricordi. Il dato è particolarmente significativo considerando che l’ipertensione rappresenta una possibile causa di decadimento cognitivo, visto che influenza negativamente il flusso di sangue ed ossigeno verso il cervello.

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“La ricerca è sicuramente molto interessante e dà un’ulteriore prova dell’importanza di un corretto controllo della pressione arteriosa in chiave di prevenzione del decadimento cognitivo – spiega Claudio Borghi, docente di Medicina Interna presso l’Università di Bologna. Soprattutto, permette di capire un aspetto in più: quanto avviene in termini di aspetti cognitivi si verifica all’interno del cranio, quindi i meccanismi che si instaurano possono essere più facilmente soggetti all’azione di farmaci che regolano il sistema renina-angiotensina-aldosterone anche in quell’area. Poter modulare con i farmaci questi meccanismi nel tessuto cerebrale significa non solo contrastare la vasocostrizione ma anche fronteggiare al eventuali altri problemi”.

E’ anche possibile ipotizzare come possono agire i medicinali in quella sede. “Si può immaginare sia un effetto diretto sia un effetto indiretto, basato sulla regolazione del microcircolo – conclude Borghi. Si tratta quindi di un dato scientifico importante che non deve però far dimenticare che, in tutti i casi, la cura dell’ipertensione è fondamentale per il benessere dell’organismo e del sistema nervoso e deve essere sempre impostata dal medico, caso per caso, ma soprattutto essere seguita con regolarità dal paziente”.

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