I ministri arabi in Cina per chiedere aiuto sulla guerra di Gaza. Pechino: “Fermiamo il disastro umanitario”

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PECHINO – “Pechino sostiene la soluzione dei due Stati, la comunità internazionale agisca immediatamente per mettere fine a questo disastro umanitario a Gaza, lavoriamo insieme per riportare la pace il prima possibile”. Eccole le linee direttrici ripetute ancora una volta dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi per provare a mettere una parola fine al conflitto in corso in Medio Oriente. Una postura, quella cinese, che riafferma la volontà di presentarsi come grande pacificatore globale. Che ribadisce il sostegno all’unità dei Paesi islamici sulla questione palestinese. E che manda messaggi pure agli Stati Uniti sulle sue ambizioni diplomatiche, per ora con diversi limiti, nella regione.

L’occasione è l’arrivo a Pechino di una delegazione di ministri degli Esteri di Palestina, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Indonesia e del segretario generale della Organizzazione della cooperazione islamica. Saranno oggi e domani nella capitale cinese con l’obiettivo di discutere un cessate il fuoco a Gaza e proteggere i civili. Un tour che toccherà poi anche altre capitali e che inizia qui in Cina visto che il Paese in questo mese di novembre ha assunto la presidenza a rotazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

“La situazione a Gaza riguarda tutti i Paesi del mondo e mette in discussione i principi fondamentali dell’umanità”, afferma Wang. Aggiungendo che la Cina lavorerà per “placare gli scontri il prima possibile, alleviare la crisi umanitaria e promuovere una soluzione rapida, completa, giusta e duratura della questione palestinese”. Pechino è un “buon amico e fratello dei Paesi arabi e musulmani” e ha sempre sostenuto la causa del popolo palestinese “per il ripristino dei suoi legittimi diritti e interessi nazionali”. Dallo scoppio della guerra, Pechino “non solo ha contattato tutte le parti attraverso canali bilaterali, ma ha anche utilizzato piattaforme multilaterali per trovare il consenso e ripristinare la pace”, ha ricordato Wang.

“Ci aspettiamo un ruolo più forte da parte di grandi potenze come la Cina per fermare gli attacchi contro i palestinesi nella Striscia. Purtroppo, ci sono grandi Paesi che danno copertura agli attuali attacchi israeliani”, la richiesta del ministro egiziano Sameh Shoukry. Il capo della diplomazia saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, ha insistito sul fatto che “dobbiamo fermare immediatamente i combattimenti e le uccisioni, consegnare forniture umanitarie a Gaza”. Mentre il ministro palestinese Riyad al-Maliki ha accusato Israele di puntare a “porre fine alla presenza del popolo palestinese su ciò che resta della sua terra storica”.

Commenti da parte israeliana al vertice sono arrivati dall’ambasciatrice a Pechino Irit Ben-Abba: “Non è questo il momento del cessate il fuoco”. Israele spera che la delegazione parli degli ostaggi catturati da Hamas “e chieda il loro immediato rilascio senza precondizioni”, aggiungendo che le parti coinvolte dovrebbero parlare insieme del “ruolo dell’Egitto nel facilitare l’assistenza umanitaria”.

Da quando è scoppiato il conflitto Pechino ha più volte ribadito il sostegno di una unità dei Paesi islamici nel rafforzare il coordinamento sulla questione palestinese. Questione che sostiene dai tempi di Mao.

Ci sono ragioni concrete per cui la Cina non ha interesse a una guerra allargata: è il maggior partner commerciale di molti Paesi mediorientali e il maggior acquirente di petrolio proprio da quei Paesi. Pechino è in buoni rapporti con quasi tutti nella regione, compreso l’Iran – sostenitore di Hamas e degli Hezbollah libanesi (Wang Di, capo degli affari dell’Asia occidentale e del Nord Africa di Pechino è stato a Teheran una decina di giorni fa ribadendo la necessità di un cessate il fuoco). E ha contribuito a far entrare Egitto, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti nel gruppo dei Paesi emergenti Brics: fondamentali per la sicurezza energetica della Cina. Ha mediato uno storico riavvicinamento lo scorso marzo tra Arabia Saudita e Iran, il risultato più importante della diplomazia cinese nella regione. Dunque, mandando messaggi al mondo musulmano in una parte di mondo centrale per le sue ambizioni geopolitiche ed economiche, prova a capitalizzare, per non vedersi disfare la tela che sapientemente ha tessuto negli ultimi anni. Il nuovo conflitto mette però a repentaglio tutto questo.

Pechino ha sì l’opportunità di mostrarsi ulteriormente come potenza responsabile agli occhi del Sud del mondo in contrapposizione agli Usa, ma l’attuale crisi potrebbe anche rischiare di mettere a nudo l’inesperienza cinese nella regione. Alcuni analisti sostengono che il rifiuto di Pechino di condannare esplicitamente gli attacchi di Hamas sia un autogol, che conferma i sospetti israeliani di parzialità cinese e pregiudica tutte le possibilità di un accordo di pace mediato dalla Cina. “Pechino è avversa al rischio, i leader del Partito comunista temono il fallimento in una questione del genere”, scrive Andrew Scobell dell’US Institute of Peace. “La realtà è che Pechino, sotto molti aspetti, è una grande potenza minore in Medio Oriente”.

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