I risultati della sigaretta: angioplastica e stent dieci anni prima del previsto

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Prima il palloncino che dilata l’arteria coronarica e ridà il sangue al cuore. Poi lo stent, se per il cardiologo è necessario. In caso d’infarto occorre arrivare prima possibile alle cure, poi lo specialista può procedere con questi trattamenti che permettono di limitare i danni sul muscolo cardiaco legati all’ischemia. Ma questa è solo la fase finale di un percorso che inizia molto tempo prima e che vede nei fattori di rischio, dall’ipertensione al colesterolo alto fino a sovrappeso, diabete e fumo, il propellente che accelera la formazione delle lesioni ostruttive all’interno delle arterie. Ora una ricerca americana, pubblicata su PlosOne, offre anche una dimensione di quanto le cattive abitudini, proprio sotto forma di fumo di sigaretta e aumento eccessivo del peso corporeo, possono anticipare la necessità di giungere ad un trattamento di rivascolarizzazione. E le notizie che emergono dall’analisi di quanto avvenuto negli ospedali dello stato del Michigan sono davvero preoccupanti. Nelle persone che non avevano mai avuto un attacco cardiaco, curate quindi per la prima volta per una sindrome coronarica acuta, la necessità di interventi “riparatori” ai vasi coronarici, sono occorse quasi dieci anni prima per i fumatori rispetto ai non fumatori. Per gli obesi, l’anticipo nel ricorso a questi trattamenti è stato più o meno di quattro anni, rispetto a chi era normopeso. 

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I dati sono stati rilevati sulla popolazione del BMC2 (Blue Cross Blue Shield of Michigan Cardiovascular Consortium): i soggetti inseriti riproducevano nella stragrande maggioranza la situazione comune, con almeno un fattore di rischio come fumo, obesità, ipertensione, colesterolo alto e diabete, ma molti ne avevano diversi, con un profilo di pericolo maggiore. Va detto anche che nelle donne in genere i trattamenti di rivascolarizzazione sono stati effettuati ad un’età più avanzata, ad ulteriore conferma di una sorta di “curva” epidemiologica che vede la donna raggiungere e poi superare in tarda età l’uomo per l’incidenza della cardiopatia ischemica. Lo studio americano è stato coordinato dal cardiologo Devraj Sukul, dell’Università del Michigan, ed offre una serie di indicazioni fondamentali in prevenzione primaria, cioè sulle persone che non hanno mai avuto problemi cardiovascolari: eliminare il fumo significa proteggere, e con chiare prospettive temporali, il cuore.

Rischio infarto aumentato del 280% per chi fuma

“La relazione tra fumo di sigaretta e cardiopatia ischemica è dimostrata da innumerevoli studi scientifici – segnala Piero Clavario, direttore del Centro Antifumo e della Riabilitazione Cardiologica dell’Asl 3 di Genova. Basta pensare in questo senso ai risultati dello studio Interheart, che ha osservato gli effetti dei vari fattori di rischio in popolazioni di ben 52 paesi del mondo: fumare, in termini generali, aumenta il rischio d’infarto del 280%”. Insomma: la sigaretta mette in pericolo cuore ed arterie. E non bisogna trincerarsi dietro l’idea che magari, limitandosi a due o tre sigarette al giorno, la situazione migliori di molto. “Purtroppo gli studi dicono che non esiste un limite di sigarette fumate al di sotto del quale il rischio si azzera – riprende l’esperto – anche una sola sigaretta al giorno aumenta il rischio di infarto. Ovviamente, se in prevenzione primaria lo stop al fumo è fondamentale, abbandonare la sigaretta diventa irrinunciabile per chi ha già avuto un infarto. Se è vero che chi smette di fumare dopo l’infarto riduce il suo rischio di ulteriori problemi del 30-40%, allo stesso modo chi ricomincia a fumare dopo la dimissione dall’ospedale ha un rischio di morire di cinque volte superiore a chi smette. Insomma: se si ha a cuore la propria salute cardiovascolare la scelta vincente è “zero sigarette”.

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