Il caldo stritola l’economia: così uccide anche le imprese (ma non tutti i tipi e non ovunque). Tutte le stime di Bankitalia

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ROMA – Si venderanno sempre meno appartamenti con classi energetiche basse, e a prezzi sempre inferiori. E nelle aree sul Mediterraneo si ridurrà il numero delle imprese, soprattutto di quelle agricole, di costruzione e manifatturiere, che invece aumenteranno nelle zone “temperate”; al Sud resisteranno turismo e servizi. L’aumento delle temperature non si limita ad avere un impatto negativo sulla crescita, ma ridisegna le attività economiche, aumentando le distanze tra le aree del Paese: a ricostruire gli effetti del caldo eccessivo sulle imprese e sul mercato immobiliare due studi appena pubblicati dalla Banca d’Italia, firmati da Michele Cascarano, Filippo Natoli e (solo per il primo dei due lavori) Andrea Petrella. I due studi partono dall’analisi di quello che è già accaduto negli ultimi anni ogni volta che le temperature si sono alzate oltre una certa soglia, che è di 25 gradi per il mercato immobiliare e di 30 gradi per il sistema delle imprese. I giorni eccessivamente caldi tendono sempre ad aumentare, e quindi gli effetti sull’economia sono sempre più frequenti, e si può immaginare che in futuro lo saranno sempre di più.

Nel mercato immobiliare il caldo frena le ricerche e anche il numero di compravendite: il risultato è un calo medio dello 0,2% dei prezzi, che persiste per almeno dodici mesi. La perdita complessiva in termini di incassi in un anno viene calcolata nell’ordine di 80 milioni di euro. Si tratta di medie, perché quello che in realtà si offerta è una redistribuzione della domanda: con il caldo gli aspiranti acquirenti tendono a cercare case meglio attrezzate, di classe A, B o C, con spazi all’aperto e un impianto di aria condizionata.

Anche tra le imprese ci sono effetti sbilanciati, anche se non si può parlare di redistribuzione perché quello che i tre economisti osservano è una progressiva riduzione delle imprese nelle aree più calde quando la temperatura si alza, e un aumento in quelle con temperature più moderate del Centro e del Nord Italia (o montane, nello stesso Mezzogiorno). Ma le imprese non si spostano: semplicemente, il caldo eccessivo accelera le chiusure e riduce le entrate nelle zone che registrano gli aumenti maggiori di temperatura, mentre l’effetto opposto si registra nelle aree temperate.

Gli analisti di Bankitalia ipotizzano che nel complesso tra il 2020 e il 2031 ci sarà per colpa dell’afa una riduzione dello 0,22% delle imprese. Ma si tratta di una media: nelle zone temperate in realtà ci sarà un aumento dello 0,27% (frutto di una combinazione tra maggiori entrate dello 0,09% e un calo delle uscite per lo 0,18%). Invece nelle zone mediterranee si registrerà nello stesso periodo un calo complessivo dello 0,35%, frutto di un calo delle nuove imprese dello 0,2% e di un aumento delle uscite dal mercato dello 0,18%.

Tutto questo avverrà in mancanza di interventi specifici, naturalmente: il Pnrr potrebbe aiutare le imprese a diventare più resilienti. Altrimenti la forbice tra Nord e Sud si allargherà sempre di più. Anche perché a essere messe maggiormente in crisi dalle alte temperature saranno in primo luogo le imprese agricole e quelle di costruzioni, seguite però dalle manifatturiere, che già nel Mezzogiorno hanno una minore diffusione. Mentre resisteranno maggiormente turismo e servizi.

A favore di una minore o maggiore resistenza giocano anche le dimensioni, e il numero di anni sul mercato: le più giovani hanno un vantaggio competitivo rispetto a quelle più vecchie che magari negli anni hanno investito poco per prevenire l’impatto dei fenomeni meteorologici. Dall’analisi dei bilanci infatti si evince come le imprese giovani e quelle di grandi dimensioni riescano ad adattarsi meglio alle giornate più calde aumentando persino la redditività; all’estremo opposto, le aziende più vecchie e piccole vedono i loro profitti ridursi in seguito a improvvisi aumenti delle temperature.
 

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