Il ciclone referendario investe il Pd: su cannabis e eutanasia entusiasmi e frenate. Ma Letta decide con le Agorà

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Il ciclone referendario che si sta abbattendo sulla politica italiana – giustizia, eutanasia legale, cannabis, ma anche la patrimoniale scalpita – vede il Pd all’epicentro del fenomeno. Nella speranza per molti di utilizzarne la forza per volare, non certo per vedersi spazzati via. Specie su eutanasia e cannabis si registrano entusiasmi diffusi. “Basta vedere i banchetti: sono soprattutto i giovani a firmare”, dice Lia Quartapelle. Anche Matteo Orfini invita a mettersi in fila per l’erba libera, l’ex giovane turco poi diventato renziano che oggi torna ad un posizionamento classico e addirittura appoggia l’idea di Sinistra Italiana per sostenere la proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione di una tassa patrimoniale. Anche se allo stesso tempo, va detto, su questo tipo di argomenti nei dem riafforano le antiche appartenze di un tempo: più freddi i cattolici, a favore, perlomeno sui principi, ex o post comunisti. Militanze del passato oggi trasversali tra le varie correnti, ragione per cui è ancora più difficile provare a fare una conta.

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Sulla giustizia, a parte influenti adesioni personali come quelle di Goffredo Bettini e del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, Enrico Letta e la sua maggioranza si sono mostrati sempre indisponibili ad accodarsi a una campagna cavalcata dalla Lega, con un percorso parlamentare e del governo già in atto proprio su una riforma complessiva. Su eutanasia e cannabis, invece, il lavoro per arrivare ad una posizione unitaria è affidata alle agorà, un processo partecipavo esteso all’area del centrosinistra e che arriverà all’estensione di un programma da qui ai prossimi mesi. Ma diverse federazioni già si stanno organizzando anche solo per ospitare i banchetti dei comitati promotori. Finché questo processo collettivo di discussione è in corso, difficilmente Letta prenderà una posizione netta. Ma quella dei banchetti è comunque una spinta dal basso che crea o in certi casi costringe al confronto e al dibattito il partito, “sulla cannabis ad esempio sono assolutamente favorevole – spiega Andrea Romano di Base riformista – mentre sull’eutanasia temo invece spinte verso l’eugenetica, però in generale mi sembra molto intelligente la proposta di Stefano Ceccanti e Dario Parrini di anticipare il controllo della Corte costituzionale dopo le prime centomila firme raccolte su un quesito, perché altrimenti con le infornate di referendum si rischia di depotenziare il lavoro del Parlamento e allo stesso tempo illudere i cittadini”.

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Al di là degli argomenti, c’è chi ritiene lo strumento referendario quasi una minaccia, uno scavalcamento della democrazia rappresentativa; chi invece ne apprezza la funzione di pungolo “verso un Parlamento immobilizzato dai veti”, sottolinea ad esempio Pierfrancesco Majorino, che pure in Parlamento ci sta ma quello europeo. Sicuramente il fattore Spid, cioè la possibilità di firmare semplicemente online, ha dato una accelerata fino a poco tempo fa inimmaginabile per la politica stessa, dove ogni processo è per forza di cose diluito. Aprirsi alla novità o restarne travolti? “Certe battaglie sono complicate ma giuste e il fatto che siano giuste rende doverose farle, un grande partito serve anche a questo. Credo che tantissimi di quelli che hanno firmato siano nostri elettori, i quali spesso sono più avanti di noi. E infine a volte con certe battaglie puoi scoprire che c’è un popolo che non solo ti viene dietro, ma spesso ti è avanti”, evidenzia Orfini.

In diversi però ricordano quanto avvenne nel 2011, ai referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Il Pd di Pierluigi Bersani ondeggiò per mesi, aderì senza convinzione salvo poi festeggiare il superamento del quorum: di quell’onda di partecipazione a livello elettorale beneficiò, due anni dopo, un partito nato da poco, cioè il Movimento 5 Stelle.

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