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Il Fisco di Draghi: tasse ridotte e progressive. Modello danese per una riforma complessiva da affidare a una commissione

ROMA – Tre le indicazioni di merito e un occhio alla Danimarca del premier Mario Dragi sulle tasse, cui ha dedicato un lungo passaggio del suo intervento al Senato. La prima e più importante è che bisogna “gradualmente ridurre il carico fiscale preservando la progressività”. E’ la dichiarazione di principio più rilevante che, come era previsto, apre a tutti coloro che si augurano una riduzione delle tasse ma spiazza il modello leghista della flat tax che, come è noto, è più proporzionale (tutti pagano la stessa percentuale redditi bassi e alti) che progressivo (paga di più chi guadagna di più, come è oggi). L’altro punto è che bisogna “semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo”.

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Ma il vero valore aggiunto sta nel metodo e nella sua cifra di razionalità che propone l’ex governatore della Banca d’Italia. Draghi ha spiegato che spesso nel nostro paese sono stati fatti “interventi parziali dettati dall’urgenza del momento e senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza”. Così è stato nel caso del fisco che, ha sottolineato Draghi in Senato, “è un meccanismo complesso, le cui parti si legano l’una all’altra”. Per cui, ha scandito il premier: “Non è una buona idea cambiare la tasse una alla volta”.

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Draghi dunque prospetta un intervento complessivo, “una revisione profonda”, una sorta di grande riforma e per il metodo suggerisce di guardare a quello che è successo in Danimarca nel 2008 dove fu nominata una commissione di esperti che incontrò partiti politici e parti sociali e che solo dopo presentò la relazione in Parlamento: alla fine la pressione fiscale fu ridotta di 2 punti e alzata la soglia di esenzione.

Come una commissione di esperti fu quella, citata da Draghi, di Cosciani e Visentini che all’inizio degli Anni Settanta introdusse l’Irpef e – ha ricordato il premier – il sostituto d’imposta per i redditi da lavoro dipendente. Draghi nota inoltre che “un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli”.

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