Il gestore del risparmio: “Inflazione Usa, ecco come fare per tenerla sotto controllo”

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C’è una soglia di attenzione, un valore che potrebbe rappresentare un punto di non ritorno: le attese di inflazione negli Usa, il cosiddetto breakeven inflation, sopra il 3%. “Da lì potrebbe scattare la rincorsa partita nel ’94, quando i tassi sembravano sfuggiti di mano. Ma non è ancora il caso di preoccuparsi”. Giordano Lombardo, fondatore e amministratore delegato di Plenisfer sgr (una boutique in cui ha investito massicciamente Generali) è concentrato da tempo sugli effetti che avrà l’inflazione sulle economie mondiali.  “L’allarme inflazione per ora esiste solo come attesa: in Europa non ce n’è ancora traccia e anche negli Stati Uniti, al netto di qualche fiammata che potrebbe esserci in estate/inizio autunno, la situazione resta sotto controllo. Sono picchi destinati a rientrare rapidamente. La vera partita si gioca nel ’22”. 

Preoccupazione prospettica, dunque, a parte i tassi di interesse Oltreoceano.

“E’ proprio lì il punto, capire quale effetto avrà la rincorsa dei prezzi sulle scelte di politica economica. Il decennale americano ha un rendimento basso in assoluto, ma in valore relativo è già cresciuto molto: da inizio anno ad oggi e’ passato dall’1 all’1,7%; e nel momento più nero della pandemia aveva toccato lo 0,5%. Insomma, il salto c’è già stato, in attesa della crescita della domanda connessa alle riaperture, della corsa ai consumi che si potrebbe scatenare quando le restrizioni sanitarie cadranno”.

Sarà un effetto duraturo?

“Nessuno può prevedere esattamente quello che succederà. Nel frattempo però alcuni campanelli d’allarme sono già scattati”.

Quali?

“Per stimare l’inflazione gli operatori di mercato guardano al Breakeven inflation, cioè alla differenza di tasso tra il rendimento di un titolo a tasso nominale e quello di un titolo agganciato all’inflazione. Quella differenza misura l’inflazione attesa. Attualmente il valore negli Stati Uniti è al 2,3%. Se raggiungesse il 3% sarebbe il momento di cominciare a preoccuparsi. E di guardare con grande attenzione a quello che farà la Fed”.

Finora il messaggio è rassicurante: politiche pazienti sui tassi di interesse.

“Certo, però se lo scenario cambia e soprattutto se l’accelerazione dell’inflazione è forte bisogna vedere come si comporterà. Potrebbe aspettare che il mercato si assesti naturalmente, ipotesi tutto sommato poco probabile. Oppure potrebbe imitare le politiche di Giappone e Australia, ad esempio, usando il controllo della curva dei tassi”.

In pratica cosa avverrebbe?

“Con acquisti massicci di titoli pubblici la banca centrale potrebbe tenere compressi i tassi nominali dei Tresaury bond, con la conseguenza di rendere negativi i tassi reali, cioè al netto dell’inflazione. E’ l’eutanasia del rentier: del resto non c’è niente di nuovo, è già accaduto negli anni Sessanta”.

Ritiene probabile uno scenario simile?

“Credo che nessuno possa dire se l’inflazione sarà duratura e se la Fed sceglierà di tenere sotto controllo la curva dei tassi. Però è bene tener presente una cosa, che vale in particolare per l’Europa: un’area afflitta da un debito pubblico molto elevato può ridurlo puntando su una forte crescita oppure sull’inflazione. La tassa occulta, come è stata chiamata, rischia di essere un’opzione di politica economica molto allettante, data la difficoltà a stimolare una crescita strutturale”.

Ma quanto è diversa l’Europa dagli Stati Uniti?

“Beh, la spinta alla crescita economica negli Usa è già partita, mentre da noi ha un passo molto più lento. Del resto anche gli stimoli sono di tutt’altro livello: in America stanno per essere messe in campo risorse aggiuntive che porteranno complessivamente gli stimoli a un valore pari al 15% del prodotto interno lordo. Un’enormità persino per loro, basti pensare che per fronteggiare la crisi del 2009 fu stanziato circa un terzo di quella somma. Nell’eurozona si dovrebbe arrivare al 5-5,5% del Gdp. E poi da noi il cosiddetto “output gap”, cioè la differenza tra il pil potenziale con la piena occupazione e quello reale, è ancora pari all’8-9%. Insomma, i rischi inflattivi sono sicuramente più bassi”.

C’è sempre l’inflazione importata, da costo delle materie prime.

“C’è anche un altro pericolo, il fatto che la deglobabilizzazione riporti a casa una serie di produzioni che prima venivano fatte a basso costo all’estero: anche per questo canale potrebbe esserci un ritorno di inflazione. Ma come si vede, le incognite sono molte. Unite all’ultima, la curva demografica”.

Le persone anziane in genere non riscaldano la domanda.

“Ma nemmeno il mercato del lavoro: baby boomers e produzioni nell’Est hanno a lungo calmierato questa voce. Ora questi fattori stanno venendo meno e non è chiarissimo quali saranno le evoluzioni future”.

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