Il giorno del dolore a Uvalde. Matthew McCounaghey: “Ancora una volta abbiamo fallito”

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UVALDE – “Decine di persone continuano ad arrivare nell’area attorno alla scuola della strage per deporre fiori, come dieci giorni fa a Buffalo, dopo la morte di dieci afroamericani in un supermercato. Qualcuno si ferma e piange in silenzio, portato via da un amico, un familiare, a volte a fatica. Anche raggiungere una macchina distante venti metri è difficile. Molte le donne, madri, nonne.

Strage in Texas: le immagini. 18 enne spara in una scuola e uccide 14 bambini e un insegnante

Strage in una scuola elementare del Texas. Un ragazzo di 18 anni ha aperto il fuoco e ha ucciso 15 persone, di cui 14 bambini e un insegnante. Si tratta una delle peggiori stragi della storia d’America che riporta alla memoria il massacro di Sandy Hook del 2012, quando il 20enne Adam Lanza aprì il fuoco e uccise 26 persone di cui 20 bambini.
> Chi era Salvador Ramos, il killer

Una, ispanica, seduta sotto un albero, è circondata da alcune persone. Qualcuno le porta una bottiglietta d’acqua. Lei continua a scuotere la testa, a passarsi una mano sulla guancia, come a consolarsi, parla in spagnolo. “E’ la nonna di uno dei bambini”, dice un uomo, Francis Arredondo, indicando la scuola. “Uno dei bambini”, senza aggiungere altro. Basta per capire che non ce l’ha fatta. Morto insieme ai suoi compagni di quarta elementare e alle insegnanti, Irma Garcia e Eva Mireles, che avevano provato a fare scudo per proteggere i bambini. Insieme avevano organizzato i festeggiamenti per la fine dell’anno scolastico. Questa doveva essere la settimana più bella.

“Domani sarebbe andato da lei per passare l’estate”. Arredondo non finisce la frase. Qualcuno tira su con il naso. Nessuno urla. 

Il giorno dopo l’epidemia di violenza che ha colpito la Robb Elementary School è il momento degli interventi contro le armi, degli appelli a fermare le stragi, ma anche quello dello strazio.

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“Ancora una volta abbiamo fallito su diritti e libertà che ci sono state donate”. L’attore Matthew McCounaghey è di Uvalde, Texas, dove la madre era insegnante e il padre lavorava per una compagnia petrolifera. Quella delle armi e dei massacri, scrive su Twitter, è una “epidemia che possiamo controllare, e qualunque sia la nostra parte sappiamo tutti che possiamo fare meglio”.

Un ragazzo di 18 anni, Salvador Rolando Ramos, ha ucciso diciannove bambini e due insegnanti, prima di essere abbattuto dalla polizia. Quarantacinque minuti di terrore, con centinaia di bambini che urlavano, altri che erano riusciti a scappare passando dalle finestre o strisciando lungo le pareti del corridoio, mentre i vetri delle finestre andavano in frantumi. Non c’è solo il peso insopportabile del dolore, ma della consapevolezza che questi bambini hanno vissuto i loro ultimi momenti con il terrore.

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Al centro civico, un edificio squadrato trasformato in punto d’emergenza, fino a notte hanno raccolto prove del Dna per il riconoscimento: alcuni corpi erano irriconoscibili. Il killer ha sparato ai bambini in faccia, da pochi centimetri, con un Ar-15, un fucile da guerra. Il figlio di dieci anni di una donna chiamata Martinez ha visto due compagni uccisi, è scappato da una finestra, ferendosi le braccia e le mani.

Una bambina con la maglietta rosa, raccontano, durante la sparatoria era seduta, spalle alla parete, con la maglia insanguinta, e piangeva. Nessuno poteva soccorrerla, nessuno ora sa dire se ce l’abbia fatta. Marcela racconta che suo nipote di 9 anni era a scuola quando tutto è cominciato, martedì mattina: quando ha sentito gli spari è scappato in bagno e da lì non si è mosso. Quando la polizia ha ucciso il killer, gli agenti sono andati di corsa in tutte le stanze per controllare se ci fossero feriti. In bagno hanno trovato lui e altri tre bambini: erano rannicchiati agli angoli, le mani sulle orecchie. Uno aveva gli occhi sbarrati, i pantaloni corti bagnati, non parlava. Il giorno dopo Uvalde è un posto in cui tutto appare ovattato, e il caldo umido che fradicia le camicie in pochi minuti non c’entra. E’ una bolla insopportabile di dolore. Attorno il rumore metallico dei condizionatori.

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Le auto che si fermano per un attimo, all’inizio di Old Carrizzo Road, e poi si allontanano. Gli uomini dello sceriffo, assieme a quelli della guardia statale, presidiano la zona, armati, restando in silenzio, mentre donne, uomini, bambini continuano ad arrivare, senza fiatare, per lasciare un ricordo, un fiore, una foto, un messaggio, un giocattolo. Scene che si ripetono in ogni angolo d’America e ora scandiscono le ore di questa città a sud del Texas, fatta di case basse, una unica grande strada che attraversa Uvalde, pick-up ovunque. Il novanta per cento della gente è formata da ispanici, sono quelli che la gente di Austin definisce “paisanos”, gente di paese, di campagna, rurale, che cammina a testa bassa. Uvalde ha tutto per essere un posto dimenticabile, e forse è proprio per questo che l’epidemia di cui parla McCounaghey non l’ha risparmiata.

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