ROMA – Far cassa di nuovo sulle pensioni, rivalutandole solo in parte all’inflazione. Eccola la tentazione che per il secondo anno consecutivo il governo Meloni accarezza, alla vigilia di una legge di Bilancio complicata sul fronte delle coperture. Nel 2022 la decisione, tenuta coperta sino all’ultimo dal ministero dell’Economia, tagliò via dalla spesa previdenziale 10 miliardi in tre anni e quasi 37 miliardi nel decennio. Una mossa che fece tornare i conti di una manovra da 35 miliardi, coperta per due terzi in deficit. Quest’anno si punta a una finanziaria da 25-30 miliardi, ma il deficit non arriva neanche a un quinto. Urgono fondi.
L’iter della manovra
«Prematuro fare ipotesi», si cautela il ministero dell’Economia. Manca ancora un mese alla definizione della Nadef, la nota che aggiorna il quadro macroeconomico dell’Italia, ovvero la previsione delle sue variabili fondamentali: Pil, deficit, debito. Subito dopo, entro metà ottobre, verrà definito il Dpb, il documento programmatico di bilancio da inviare a Bruxelles: lì si capiranno tutti i margini a disposizione dell’esecutivo di destra per la sua seconda manovra. Subito dopo il testo della legge di Bilancio – «la più politica tra le leggi che un governo possa fare», ha detto ieri la premier Meloni in apertura del Cdm – verrà inviato al Parlamento per la discussione e gli emendamenti.
Lo scambio intergenerazionale
Nei prossimi 45 giorni dunque i conti dovranno tornare, per forza di cose. E «le poche risorse che abbiamo – ha aggiunto la premier – devono essere spese al meglio, perché questo è un governo politico e i governi sono politici se scelgono». Possibile dunque che Palazzo Chigi scelga ancora il bacino delle pensioni per recuperare risorse da destinare a famiglie e lavoratori, l’obiettivo dichiarato da sostenere con la prossima manovra. Basta agire su fasce ed aliquote per incamerare miliardi. L’anno scorso si scelse di passare da un metodo più favorevole di rivalutazione all’inflazione (il “metodo Prodi” per scaglioni come l’Irpef, ripristinato dal governo Draghi) a uno meno favorevole (il “metodo Letta” per fasce).
Il risultato fu lusinghiero per le casse dello Stato. E le timide reazioni contrarie dei sindacati furono presto arginate e archiviate. Il bis quest’anno non è quindi impensabile, specie se motivato in chiave solidaristica come sostegno intergenerazionale dai nonni ai nipoti, dai senior alle famiglie. E se attuato poi in anni di alta inflazione. Le pensioni, a differenza degli stipendi, vengono rivalutate in automatico all’aumento dei prezzi. E lo fanno con dodici mesi di ritardo. Quest’anno per esempio hanno recuperato l’inflazione dell’anno passato: 8,1%, anche se manca ancora un piccolo conguaglio. Ma hanno avuto tutto, il 100% dell’inflazione, solo gli assegni fino a tre volte il minimo (2.100 euro lordi). Gli altri dall’80 al 35% in base a sei fasce: una pensione di 2.200 euro lordi ad esempio perde il 20%.
In bilico il recupero dell’inflazione 2023
Nel 2024 le pensioni dovranno invece recuperare l’inflazione di quest’anno prevista attorno al 5,7% dal Def di aprile. Se il governo non cambia nulla, si applicheranno le regole in vigore ora, quindi con il taglio in base alle sei fasce. Se invece Palazzo Chigi decidesse di intervenire, ad esempio aggiungendo altre fasce oppure abbassando la percentuale di rivalutazione, si creerebbero margini per incassi da usare a copertura della manovra. Dipenderà da quanto il ministero dell’Economia e la Ragioneria riusciranno a rastrellare da altri fondi non spesi dei ministeri, dai residui avanzati di vecchie o nuove misure che hanno avuto un tiraggio inferiore al previsto, dalla sforbiciata annunciata ai bonus fiscali. O dalle privatizzazioni, con un nuovo round di cessione di partecipazioni dello Stato non strategiche annunciate a sorpresa ieri dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Va anche detto che quello delle pensioni è un campo minato. Impedire ad una platea di pensionati di fascia medio-alta di recuperare parte dell’inflazione significa penalizzarla in modo permanente. Perché il taglio di un anno comprime l’importo della pensione che l’anno dopo sarà sottoposta a rivalutazione. E così via. Un meccanismo passibile tra l’altro di intervento della Corte Costituzionale che in passato ha censurato tagli non mirati sulle pensioni, non circoscritti nel tempo e non giustificati da emergenze.
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