In piazza Sofia è stata imbandita una tavola con i piatti del menu tipico del Natale ortodosso: ravioli, crepes, insalate e dolci. A centro tavola il filo spinato separa le pietanze dai commensali. Sette ragazzi in uniformi militari con delle ciotole da carcerati vuote e lo sguardo basso. Dietro di loro un muro di donne con cartelloni e slogan. “E’ il natale dei prigionieri del battaglione Azov”, urla un portavoce ai passanti e giornalisti che si sono fermati a immortalare la scena. Con questo sit in nel centro di Kiev, circondato da un battaglione di nuove reclute in passamontagna e abiti neri, si è scelto di ricordare i prigionieri dell’acciaieria di Mariupol che ancora sono nelle mani di Mosca e passeranno il Natale in cattività.
Un cartello in mano a una ragazza bionda indica il numero 222. Sono i giorni passati dalla resa dell’ultimo battaglione di militanti del gruppo che per settimane hanno resistito all’assedio russo nella città di Mariupol. Un centinaio di loro sono stati liberati nel corso di diversi scambi di prigionieri con la Russia. Ma 700 rimangono nelle mani del nemico e proprio per chiedere la loro liberazione i famigliari si sono dati appuntamento in una delle piazze principali, di fronte all’albero di Natale della città, per attirare l’attenzione mondiale sulla questione ancora aperta dei prigionieri.
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“Non abbiamo informazioni su di loro da maggio da quando sono stati liberati dall’Azovstal. Questa performance è per attirare l’attenzione sulle loro condizioni, è così che ci immaginiamo che passeranno il Natale. È frustrante non sapere nulla, le solo notizie che abbiamo sono venute da coloro che sono stati liberati e praticamente ci hanno semplicemente confermato che i nostri figli sono vivi”, a parlare è Jevgenii Sukharnikov, uno degli organizzatori dell’evento e padre di un combattente fatto prigioniero dopo la resa dell’Azovstal: “Uno dei punti dell’accordo per la resa era che i prigionieri sarebbero stati scambiati ma come puoi vedere questo non sta succedendo e mio figlio di 25 anni è ancora prigioniero”.
Rita Manzkeas, 30 anni, si asciuga le lacrime e stringe in una bandiera giallo-blu con l’insegna del battaglione. Di suo marito, di 23 anni, che ha resistito nell’acciaieria, sa solo una cosa: “Era nel carcere di Olenivka ma è soppravvissuto all’attacco”, spiega riferendosi al bombardamento sulla struttura di detenzione, generalmente attribuito a Mosca, in cui hanno perso la vita 50 dei prigionieri della resa di Azovstal. Sono diverse le mogli e compagne presenti a indicare l’episodio di Oleniivka come unica certezza, ma dopo quell’episosio, nessuno sa esattamente dove siano stati trasportati i sopravvissuti.
Alla sinistra della tavola imbandita, in formazione quadrata, ci sono una cinquantina di ragazzi giovanissimi, il volto coperto a metà da sciarpe nere, giacche nere, i capelli rasati, i volti seri, e i tatuaggi sul collo. Stanno in silenzio, con quattro enormi bandiere nere della formazione “Centuria” sventolano sulle loro teste. Un portavoce in abiti militari fuori dalla formazione spiega che sono “giovani reclute di Azov”, non ancora pronti per combattere (hanno tra i 15 e i 18 anni) ma presenti e in grado di intervenire in caso ci siano disturbi durante l’evento.
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La resistenza di Azovstal ha consacrato il battaglione Azov tra gli eroi della patria per gli ucraini. L’azione all’interno dell’acciaieria ha sedato la controversia sulla presenza di elementi neo nazisti all’interno della formazione. Lo stesso battaglione Azov ha lavorato sulla propria immagine per distaccarsi dall’ideologia ultranazionalista. Ma spesso la simbologia rimane. Fa discutere infatti in questi giorni un video diffuso sui social media da Maksym Zhorin, capo del braccio politico di Azov. Il filmato mostra il rito della brigata per ricordare i caduti in battaglia: una coreografia che riprende le celebrazioni nordiche per il solstizio d’inverno e ricorda molto da vicino la festa “per la rinascita del sole” introdotta in Germania dal nazismo al posto del Natale.
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