Il revival del Cnel scampato al referendum e i piani di Brunetta

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Lui sogna in grande. E vuole trasformare il Cnel nella «casa dei corpi intermedi del Paese». Rilanciando questo ente che adesso è sotto i riflettori per volere di Giorgia Meloni, ma fino a ieri era considerato un carrozzone e poco più. Anzi peggio: «Una fabbrica di aria fritta», dicevano i renziani al governo nel 2016 quando ne proposero la chiusura nel referendum costituzionale poi bocciato dagli italiani.

Al centro dell’attenzione

L’ex ministro Renato Brunetta, nominato lo scorso marzo dal governo alla guida del Cnel, dicono sia raggiante perché adesso si trova di nuovo al centro dell’attenzione avendo in mano il dossier politico più delicato: quello sul salario minimo e in generale le basse paghe in Italia. Ad affidarglielo è stata la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha aperto su questo fronte al dialogo con una opposizione compatta nel chiedere il salario minimo a 9 euro. L’ex ministro del governo Draghi si prepara così a «sessanta giorni di grande lavoro» per arrivare a ottobre con una proposta organica del Cnel non solo sul salario minimo ma su tutto un pacchetto di norme in tema di lavoro, paghe, crescita e fisco. E chi glielo doveva dire, considerando che anche dopo la bocciatura del referendum del Cnel si è parlato poco o nulla: se non per i costi di mantenimento e le proposte mai arrivate al voto in Parlamento, come da tradizione negli ultimi settant’anni di questo ente.

Addio anni d’oro

Il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro da quando è nato, nel 1957, ha fatto notizia più per i costi che per l’azione alla quale era destinato: e cioè proposte in materia economica e del lavoro, da parte di un organismo, il consiglio del Cnel, in cui siedono una settantina di rappresentanti del mondo sindacale e delle associazioni datoriali, oltre a docenti ed esperti.

Negli anni d’oro ogni consigliere per poco più di una riunione verbosa al mese arrivava a prendere un gettone di oltre duemila euro, mentre il presidente riceveva un compenso da 200 mila euro e cosi via i vice e i vice dei vice. Già poco prima dell’insediamento del governo Renzi la musica era cambiata e comunque nel 2014 l’esecutivo guidato dall’allora “rottamatore” aveva azzerato i compensi per gli amministratori e di fatto bloccato le assunzioni.

Sei milioni l’anno

Oggi Brunetta e i consiglieri non percepiscono compensi, anche se l’ente continua a costare comunque 6 milioni di euro all’anno. Per fare cosa? Nel 2022, a guida Tiziano Treu, il Cnel ha proposto quattro disegni di leggi e dato una trentina di pareri su altre norme in Parlamento. Insomma, un po’ nel solco della fabbrica di carta. Ancora oggi l’ente ha una sessantina di dipendenti che costano intorno ai quattro milioni di euro, e sette dirigenti: il segretario generale guadagna 140 mila euro all’anno, gli altri dirigenti hanno un compenso lordo annuale intorno ai 90 mila euro.

Brunetta studia il rilancio e ha convinto la presidente del Consiglio Meloni della bontà dell’operazione, tanto che la leader di FdI ha deciso adesso di affidare proprio al Cnel il dossier sui bassi salari tanto caro all’opposizione. Il leader dei 5 stelle ha subito detto: «Meloni lancia la palla in tribuna». Come dire: al Cnel non si è mai fatto nulla di concreto, perché adesso la musica dovrebbe cambiare?

L’ex ministro draghiano e l’opposizione

Meloni comunque ha accettato di buon grado la proposta di Brunetta anche per un motivo più politico: sarà difficile per Pd, 5 stelle e Azione attaccare un ex ministro del governo Draghi, da lei mai sostenuto tra l’altro, ma dall’odierna opposizione sì, eccome. Brunetta dal canto suo è pronto a convocare riunioni a raffica già dalla prossima settimana: «È la prima volta che un governo chiede un contributo così importante e sensibile al Cnel», ha detto in queste ore ai suoi collaboratori più stretti.

Oltre il sogno

E quindi, cosa ha in mente l’ex ministro dei governi berlusconiani, folgorato sulla via di Draghi? In realtà le linee guida «in materia di giusta retribuzione e salario minimo» il Cnel di Brunetta le ha appena consegnate al Parlamento e nelle commissioni di merito sono state pure apprezzate all’unanimità. Nella relazione si chiarisce subito un punto: «La questione salariale non può essere ricondotta unicamente al dibattito sull’opportunità o meno di introdurre un salario minimo legale, ma deve andare a toccare i principali problemi che ostacolano la crescita dei salari».

Brunetta sogna in grande, dunque, e a ottobre, dopo aver ascoltato tutte le parti sociali, vuole proporre una grande riforma per aumentare salari e produzione. Poi dovrà convincere maggioranza e opposizione: e qui si va oltre il sogno, forse. Comunque, il Cnel dalla polvere alla gloria? Intanto si torna a parlare di questo ente e non solo per fare i conti al carrozzone di Stato. Almeno per un po’, si spera.

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