Il riscaldamento globale è la più importante storia che non abbiamo mai raccontato

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“Il riscaldamento globale è la più importante storia che non abbiamo mai raccontato”. Il primo a dirlo fu un attivista del clima britannico, che aveva studiato a lungo le ragioni per le quali il nostro cervello sembra fatto apposta per ignorare i cambiamenti climatici (è un punto importante, ci torneremo). Insomma, era il 2014 e George Marshall, questo il suo nome, nel corso di una quelle conferenze – che prendono il nome di TED – dove uno parla da solo per una dozzina di minuti per comunicare un’idea in grado di cambiare il mondo, espresse per la prima volta questo concetto: non sappiamo raccontare il cambiamento climatico. Non sappiamo farlo sebbene sia la più grande sfida mai affrontata dall’umanità: com’altro definire il tentativo di cambiare il modo di vivere di otto miliardi di persone per evitarne l’estinzione? Insomma, anche se ci sarebbero tutti gli ingredienti per una narrazione epica e coinvolgente, non ci riusciamo. Del resto, chi può emozionarsi per una variazione di un grado e mezzo di temperatura? 

Indagando sul tema, in un libro di notevole successo del 2019 (We are the Weather. Saving the Planet Begins at Breakfast), lo scrittore americano Jonathan Safran Foer a un certo punto scrive: “Oltre a non essere una storia facile da raccontare, la crisi del pianeta non si è dimostrata una buona storia. Non solo non riesce a convertirci, non riesce neppure a interessarci (…) Sembra impossibile descrivere la crisi del pianeta – astratta ed eterogenea com’è, lenta com’è, e priva di momenti emblematici e figure iconiche – in un modo che sia al tempo stesso veritiero e affascinante”. 

Il primo fallimento in questo tentativo è stato della comunità scientifica, che pure ha visto con enorme anticipo quello che stava accadendo e ci ha mandato ripetuti avvisi, supportati da grafici, tabelle, scenari. Clamorosi, ma, in fondo, freddi numeri. Non qualcosa di cui parleresti al bar con un amico. Il fatto è che gli scienziati di solito non sanno comunicare, non è quella la loro principale missione. Un editorialista del magazine della Silicon Valley Wired ha raccontato di aver provato a leggere l’ultimo rapporto dell’IPCC, l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa appunto del clima, e di essersi perduto in un gigantesco PDF di oltre quattromila pagine scritte con un carattere troppo piccolo. “Davvero vogliono che leggiamo questo bestione?”, si è chiesto. 

Il secondo fallimento è del giornalismo e lo ha inquadrato benissimo nel 2015 Alan Rusbridger, allora direttore del quotidiano The Guardian, lanciando una iniziativa non a caso chiamata “The Biggest Story in the World”. Scriveva Rusbridger: “Il problema con questa storia è che… è così grande eppure non cambia molto giorno per giorno. Il giornalismo invece dà il meglio di sé nel catturare un preciso momento, o dei cambiamenti netti, o delle cose che appaiono strane. Se invece un fenomeno è praticamente lo stesso ogni giorno, ogni settimana, ogni anno, il giornalismo perde efficacia”. 

Adesso in realtà qualcosa sta cambiando. Il cambiamento climatico non è più una minaccia lontana: ci è entrato dentro casa. Il simbolo non è più un orso polare alla deriva su un iceberg ma i ghiacciai delle Alpi che fondono. Le vittime non sono più gli abitanti di qualche oscuro villaggio tropicale, ma quelli di un qualunque paese italiano alle prese con la siccità. Insomma il cambiamento climatico is here to stay. Chi può raccontare meglio quello che sta accadendo? Farlo è fondamentale se vogliamo coltivare la speranze che le cose cambino: che si passi dal petrolio al sole e al vento come fonti di energia;  e da una economia dei consumi ad un’economia circolare, in cui le cose sono progettate per durare e per poi essere riciclate. 

Qualcuno alla domanda “chi può raccontarlo”, risponde: i giovani. Pensando a quello di cui sono stati capaci dietro la bandiera dei Fridays for Future. Ma è un errore. Quel movimento è infatti una avanguardia di persone che hanno letto i documenti scientifici e si sono attivati. I giovani invece non sanno cos’è davvero il cambiamento climatico semplicemente perché le variazioni, di anno in anno, sono impercettibili: è la nostra capacità di adattamento a renderle tali. Ci abituiamo a tutto, prendiamo delle contromisure (l’aria condizionata) e tutto sembra normale. La solita estate calda. E così non facciamo nulla per cambiare.

Restano gli scrittori. Quelli capaci di inchiodarti alle pagine di un libro con una storia e di inventare dei personaggi che non dimentichi più, e che alla fine, in qualche modo, ti cambiano la vita. Per questo come Green & Blue abbiamo chiesto ad alcuni fra i principali scrittori italiani di raccontarci cosa sta davvero succedendo. I Racconti del Cambiamento Climatico sono una serie che inizia domani su Robinson e che ha l’ambizione di arrivare là dove gli scienziati e i giornalisti si sono fermati: raccontare la più grande storia che l’umanità abbia vissuto. Sperando nel lieto fine e in un nuovo inizio.

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